Lunedì scorso la Federcalcio ha inviato la sua manifestazione d’interesse all'Uefa. Una semplice letterina, nemmeno controfirmata dal governo, con cui l’Italia avvisa la Uefa di voler partecipare alla partita. Il problema è se sarà in grado di giocarla: perché con le infrastrutture fatiscenti del nostro Paese, Euro 2032 rischia di diventare un’impresa titanica. Un investimento faraonico da centinaia di milioni, se non proprio miliardi di euro, di cui beneficerebbe la Serie A e il calcio di alto livello, e su cui un governo in uscita (quello di Mario Draghi) dovrebbe impegnare il Paese per il prossimo decennio
Gli Europei di calcio 2032 in Italia. Più facile a dirsi, che a farsi. Più semplice annunciare la candidatura, che presentarla davvero. Per ora siamo fermi alle buone intenzioni: lunedì la FederCalcio ha inviato la sua manifestazione d’interesse. Una semplice letterina, nemmeno controfirmata dal governo, con cui l’Italia avvisa la Uefa di voler partecipare alla partita. Il problema è se sarà in grado di giocarla: perché con le infrastrutture fatiscenti del nostro Paese, Euro 2032 rischia di diventare un’impresa titanica. Un investimento faraonico da centinaia di milioni, se non proprio miliardi di euro, di cui beneficerebbe la Serie A e il calcio di alto livello, e su cui un governo in uscita (quello di Mario Draghi) dovrebbe impegnare il Paese per il prossimo decennio.
IL SOGNO DI GRAVINA, IL SILENZIO DEL GOVERNO – L’Italia del pallone sogna da tempo un torneo internazionale. Lo vuole Gabriele Gravina, per cui sarebbe la ciliegina sulla torta al suo mandato. Ci crede anche Giovanni Malagò, che col suo Coni sposa tutti i grandi eventi, dalle Olimpiadi in giù. In questo senso, l’organizzazione di quattro partite dell’ultimo Euro 2020 è stata un po’ la prova generale. Solo che un conto è ospitare un pezzettino di una manifestazione dislocata in tutto il continente e conclusa trionfalmente altrove (Londra). Ben altra storia portarsi in casa un Europeo intero, che assomiglia sempre più per oneri e onori a un Mondiale. Tanto più che di qui al 2032 potrebbe diventarlo per davvero, visto che la Uefa ha in cantiere di ampliare il numero di squadre da 24 a 32. Forse anche per questo il primo passo è stato accolto con un filo di perplessità a Palazzo Chigi. Non che sia stato un fulmine a ciel sereno, l’intenzione della Federazione era nota a tutti da tempo, ma a quanto risulta a ilfattoquotidiano.it la sua formalizzazione non era stata concordata con le autorità competenti: per ora la Figc si è mossa da sola, e del resto la manifestazione d’interesse è un atto sportivo che non richiedeva il coinvolgimento dell’esecutivo (servirà in seguito). Ma certo dal governo non si è levata una voce, neppure una piccola parola a sostegno dell’iniziativa. Che invece di sostegno avrà grande bisogno.
SERVONO 10 STADI: L’ITALIA OGGI NE HA SOLO UNO – I requisiti sono e saranno altissimi: almeno 10 stadi moderni, di cui uno da 60mila posti, uno (meglio due) da 50mila, quattro da 40mila e tre da 30mila. E l’Italia è davvero all’anno zero. Ad oggi, il nostro Paese può contare su un solo impianto già pronto: lo Juventus Stadium, per altro di terza categoria. In questa dovrebbe rientrare anche il nuovo Artemio Franchi di Firenze, che dopo la querelle con la Fiorentina di Commisso è riuscito a infilarsi nel Recovery Plan e per cui ci sono già 95 milioni di fondi pubblici a disposizione. C’è ovviamente l’Olimpico, lo stadio della nazionale per eccellenza, ma già qui cominciano i dolori: quello romano è un impianto scomodo e decadente, per Euro 2020 la Uefa si è accontentata di una piccola riverniciata, ma fra un decennio non accetterebbe mai un vecchio rudere come sede principale del torneo. Per renderlo presentabile ci vorranno almeno 50-100 milioni di euro. Siamo arrivati a quota tre, e la lista è già finita. Gli altri due stadi di recente costruzione, Udine e Bergamo, sono troppo piccoli e in teoria tagliati fuori con gli attuali requisiti. I progetti più avanzati in questo momento sono a Cagliari e Bologna, che però potrebbero tornare comodi al massimo per la categoria più piccola. Napoli, Bari, Palermo sono città del Sud per cui da anni si parla di nuovo stadio senza che si sia mai mosso nulla di concreto. Il vero problema restano gli impianti grandi, almeno due da affiancare all’Olimpico. Il nuovo stadio della Roma ormai è praticamente una figura mitologica. Quanto a San Siro, nel dossier oggi entrerebbe quello attuale, ma la sua demolizione è praticamente già stata decisa per far posto alla nuova “Cattedrale” di Populous, che chissà quando sarà pronta.
IL CONTO MILIARDARIO DELL’OPERAZIONE STADI – Insomma, servono almeno 6-7 stadi, oggi l’Italia pare completamente impreparata e inadeguata a ospitare un Europeo. Si dirà: uno lo organizza proprio per questo, per rinnovare l’impiantistica dell’intero Paese. Ma così la candidatura rischia di diventare un salasso. Che si tratti di progetti pubblici o privati, di proprietà dei Comuni o dei club, una volta dentro la candidatura dovrà comunque essere l’Italia, cioè lo Stato, a farsene carico. Dal punto di vista burocratico, assicurando la realizzazione nei tempi, ma anche da quello economico, coprendo gli interi importi. Se ci aggiungiamo poi i costi per l’organizzazione dell’evento, la viabilità, la sicurezza, la no-tax area per la Uefa, tra fondi cash e garanzie parliamo di un conto miliardario. Presto per fare stime precise, per il momento basterà richiamare il precedente di Euro 2016, per cui la Francia solo in infrastrutture spese quasi un miliardo e mezzo. Ma per le dimensioni del torneo (e le condizioni italiane), forse il paragone più calzante è con i Mondiali 2006, costati quasi 4 miliardi alla Germania. Certo, quella manifestazione ha lasciato un patrimonio eccezionale, tanto che ora la Germania potrà ospitare gli Europei 2024 senza praticamente nuovi sforzi. Si tratta di un investimento faraonico. Un’operazione politica, per sbloccare una serie di progetti che fin qui si sono impantanati per limiti loro o della burocrazia. Richiede il pieno coinvolgimento del governo.
I PROBLEMI INTERNI E LE RIVALI ESTERE – L’eventuale candidatura italiana si inserisce invece in una congiuntura politica decisamente sfavorevole. La manifestazione d’interesse era solo il primo passo: adesso c’è un anno di tempo per costruire dossier, con tutte le firme e gli impegni del caso, dalle città ospitanti ai proprietari degli stadi (nel caso di impianti privati), fino allo Stato centrale. Significa che entro aprile 2023, in piena campagna elettorale e con le urne già convocate, il governo Draghi ormai in uscita dovrebbe impegnare il Paese e stanziare i fondi necessari in manovra. Ammesso che sia ancora in carica nel momento clou. La scelta finale avverrà a settembre 2023, quando ci sarà un nuovo premier, esecutivo, maggioranza, e magari idee diverse (quali siano quelle di Draghi a riguardo non è noto). Col torneo 2028 già virtualmente assegnato all’Inghilterra che è più ricca, più preparata, anche più agganciata politicamente (Ceferin deve un favore a Boris Johnson che lo ha aiutato ad affossare la Superlega), tutti guarderanno al 2032, non solo noi, che inizialmente avevamo puntato il 2028 e per evitare figuracce siamo stati costretti a spostarci di quattro anni. Ci sarà quasi sicuramente la Turchia, che ci aveva già provato per il 2024 (sconfitta dalla Germania) e sugli stadi non ha nulla da invidiare a nessuno (un po’ meno quanto a democrazia …). Ma potrebbe esserci anche la Russia, una candidatura congiunta di Paesi balcanici, e magari la Spagna, che non ospita un torneo dall’82, si è già fatta avanti per i Mondiali 2030 ma potrebbe anche ripiegare sugli europei visti i rapporti sempre più tesi con la Fifa. Col suo prestigio e il suo dossier pieno di incognite, l’Italia dovrà guardarsi dalle avversarie. Ma forse soprattutto da se stessa.