Economia

Inflazione, in Germania a gennaio +4,9%. Negli Usa i prezzi volano del 7,5%: il tasso più alto da quarant’anni. Fed verso la stretta a marzo

Al balzo ha contribuito anche oltreoceano il rincaro dell'energia, con un +27% su base annua, ma la spinta è arrivata anche dalle auto usate, con prezzi schizzati del 40,5%. Gli alimentari hanno segnato un aumento del 7%, spingendo al rialzo i prezzi dei ristoranti e dei fast-food. Pesano poi i colli di bottiglia nella distribuzione. A differenza che nel Vecchio Continente anche i salari stanno aumentando al ritmo più veloce da almeno 20 anni

L’inflazione continua a mordere e aumenta le pressioni sulle banche centrali da entrambi i lati dell’Atlantico. Con la Fed pronta al prima aumento di mezzo punto dei tassi di interesse dal 2000. A gennaio negli Stati Uniti i prezzi al consumo sono volati del 7,5%, ai massimi dal febbraio 1982 e oltre le previsioni del mercato. In Germania invece il tasso è stato del +4,9%, dopo il +5,3% di dicembre. Georg Thiel, presidente dell’istituto di statistica Destatis, parla di “lieve indebolimento dopo aver raggiunto il livello più alto in quasi 30 anni a dicembre. Tuttavia, rimane ad un livello elevato”.

Negli Usa l’aumento dei prezzi su base annua è stato del resto il più alto da 40 anni e anche quello su base mensile – 0,6% – ha superato le attese. L’incide core, quello al netto di energia e alimentari a cui guarda la Fed, ha segnato un aumento del 6% accelerando rispetto al 5,5% di dicembre. Al balzo ha contribuito anche oltreoceano il rincaro dell’energia, con i prezzi saliti dello 0,9% rispetto a dicembre e del 27% su base annua, ma la spinta è arrivata anche dalle auto usate, con prezzi schizzati del 40,5% rispetto a gennaio dello scorso anno. Gli alimentari hanno segnato un aumento del 7%, spingendo al rialzo i prezzi dei ristoranti e dei fast-food, rincarati dell’8%. Tra gli altri fattori ci sono poi i colli di bottiglia nella distribuzione: i porti e i magazzini sono sovraccarichi, con centinaia di lavoratori nei porti di Los Angeles e Long Beach, i più trafficati della nazione, in malattia il mese scorso. Con il risultato che le aziende rimangono a corto di scorte. Quel che differenzia gli Usa dal Vecchio Continente è che lì anche i salari stanno aumentando al ritmo più veloce da almeno 20 anni. Prova di un surriscaldamento che non dipende solo dai beni energetici.

La corsa dei prezzi non ha ancora raggiunto il picco, atteso tra febbraio e marzo. Un trend inflazionistico così forte avalla la posizione di chi chiede che la normalizzazione del costo del denaro proceda spedita. In vista del meeting della Federal Reserve in calendario il 16 marzo, il consenso degli analisti è che ci sia un 67% di probabilità di un aumento dei tassi nell’ordine del mezzo punto percentuale: il primo dal 2000. Il presidente della Fed di St. Louis, James Bullard giovedì in un’intervista all’agenzia Bloomberg si è detto favorevole a un aumento del costo del denaro da 50 punti base, per poi alzarlo di 100 punti base entro luglio. “La Fed ha offerto un sostegno straordinario durante la crisi. Data la forza della nostra ripresa e la recente velocità dei rialzi dei prezzi, è appropriato per la banca centrale ricalibrare il sostegno”, ha approvato la Casa Bianca, consapevole però che un rialzo dei tassi potrebbe rallentare la ripresa nell’anno elettorale, complicando ulteriormente il cammino già in salita dei democratici. Non a caso dopo le parole di Bullard i listini statunitensi hanno chiuso in rosso.