E’ un caso, ma la notizia degli arresti per presunte infiltrazioni della ‘ndrangheta negli appalti di Rete ferroviaria italiana arriva proprio nel giorno in cui il numero uno dell’Associazione nazionale dei comuni avverte il governo che servono nuove semplificazioni perché “con queste procedure abbiamo la certezza che non riusciremo a spendere“ i fondi del Pnrr entro il 2026. Dalle infrastrutture strategiche ai bandi destinati agli enti locali, nell’anno decisivo per l’attuazione del piano stanno venendo al pettine tutti i nodi che – insieme ai rincari di energia e materie prime – potrebbero far deragliare dal percorso verso la realizzazione dei 100 obiettivi da centrare per ottenere da Bruxelles 40 miliardi. Tenere insieme rapidità della spesa, qualità dei progetti e necessari controlli è una sfida formidabile per un Paese che storicamente non è mai stato in grado di utilizzare i fondi europei con efficienza e senza frodi.
L’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Milano non può non suscitare qualche domanda. Secondo la Dda ci sarebbe stato “un piano ‘di spartizione’ in ‘aree di competenza’ dell’intero territorio nazionale” da parte di alcune imprese che prendevano gli appalti da Rfi. La società pubblica, partecipata al 100% da Ferrovie dello Stato, è parte lesa e fa sapere di aver “già avviato un lavoro per rafforzare le azioni contro i tentativi di infiltrazione criminale negli appalti” oltre a dare “la sua piena disponibilità per aprire un tavolo con gli organi competenti e contribuire a trovare ulteriori soluzioni, ancora più efficienti e tempestive“. Di sicuro qualcosa nel meccanismo dei controlli sulla filiera di appalti e subappalti sembra non avere funzionato. E il quadro impensierisce se si pensa alla mole di risorse in gioco nei prossimi anni. Stando all’ultimo monitoraggio del ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili, aggiornato al 9 febbraio, i fondi destinati allo sviluppo della rete ferroviaria ammontano – tra Recovery plan e piano complementare alimentato con risorse nazionali – a 36,6 miliardi. Rfi è di gran lunga il primo soggetto attuatore con 35 miliardi da gestire tramite bandi. Di questi, 2,5 miliardi sono stati già spesi visto che il meccanismo del prefinanziamento ha consentito di contabilizzare anche spese sostenute nel 2020 e nella prima parte del 2021.
La parte del leone la fa l’alta velocità con oltre 15 miliardi. Al Nord gli interventi principali riguardano la Brescia-Verona-Vicenza-Padova e la Genova-Milano-Torino, le tratte di accesso del Brennero, il Terzo valico dei Giovi. Al Sud è previsto il potenziamento della Napoli-Bari, della Palermo-Catania-Messina e della Salerno-Reggio Calabria. Quest’ultima da sola ha un costo stimato di 22,8 miliardi di euro e per garantirne l’attuazione lo scorso anno il governo ha previsto una corsia ultraveloce con tempi contingentati per ogni step e un comitato speciale ad hoc in seno al Consiglio superiore dei lavori pubblici. Una procedura speciale che si aggiunge alle semplificazioni che consentono l’appalto integrato e la rimozione (per favorire la partecipazione delle pmi) di ogni limite al subappalto. Proprio la fase più a rischio. Il decreto del 2021 però ha anche ampliato la banca dati dei contratti pubblici dell’Anac: ora la stazione appaltante prima di autorizzare il subentro di un subappaltatore può verificare di chi si tratta. E’ stato poi potenziato il nucleo anticorruzione della Ragioneria dello Stato e, dopo un po’ di tira e molla, l’Anac ha ottenuto assunzioni e rassicurazioni sul proprio ruolo. Ma la direttiva europea sul whistleblowing non è ancora stata recepita. La scadenza era a metà dicembre,