Il gruppo nato dall'unione tra Psa e Fca ha tra i principali azionisti lo stato francese che possiede una quota del 6,1%. Il comitato parlamentare chiede che Cassa depositi e prestiti acquisisca una partecipazione che controbilanci quella di Parigi. Il governo italiano "sta definendo un piano"
Ci sono voluti i servizi segreti per accorgersi che Stellantis, nata dall’unione tra Fca e Psa, è più francese che italiana. Dopo oltre un anno dalla nascita del nuovo gruppo il Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica) presenta un rapporto da cui emerge, tra l’altro, che gli equilibri si stanno spostando verso Parigi, dinamica che rappresenta un rischio per gli interessi strategici italiani. Il Copasir chiede quindi che si attivi Cassa depositi e prestiti, braccio finanziario del Tesoro che costudisce i risparmi postali degli italiani, per comprare una partecipazione che controbilanci l’influenza francese. Ma sin dalla nascita del colosso il tricolore con il blu ha sventolato un po’ più in alto di quello con il verde. L’amministratore delegato è il portoghese Carlos Tavares che arriva da Psa. Il gruppo Exor (con sede in Olanda) della famiglia Agnelli/Elkan è il primo azionista in termini relativi con una quota del 14,3% ma i soci esteri, insieme, sopravanzano ampiamente gli italiani. Soprattutto lo stato francese detiene una partecipazione diretta del 6,1%. Nel prospetto di quotazione consegnato ai mercati un anno fa si leggeva come non di fusione si trattasse ma di acquisizione di Fca da parte di Psa.
L’opera di francesizzazione è in corso dal primo giorno. Nei ruoli dirigenziali gli uomini di fiducia di Tavares rimpiazzano i colleghi italiani, anche nei siti italiani. Nonostante non siano stati fatti licenziamenti l’organico italiano si è ridotto di oltre 2mila unità sfruttando incentivi all’esodo. Una politica simile è adottata ora anche in Francia. Lo stabilimento di Grugliasco è stato chiuso. Poche settimane orsono la società ha restituito il prestito erogato da 6,3 miliardi di euro erogato da Intesa Sanpaolo ma garantito dallo Stato italiano. Una garanzia che ha significato la possibilità di pagare interessi più bassi ma che era accompagnata da un impegno, seppur piuttosto generico, ad evitare ridimensionamenti in Italia.
“Abbiamo appreso da alcune notizie stampa che anche il Copasir (Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica) richiama il Governo e il Parlamento affinché si intervenga sulla transizione del settore automotive ed in particolare sullo squilibrio tra Italia e Francia riguardo al sistema industriale dell’automotive a partire da Stellantis. Nell’interesse del Paese e dei lavoratori, occorre pensare a un equilibrio nell’azionariato di Stellantis, che veda la presenza dello Stato attraverso l’intervento di Cassa Depositi e Prestiti“, hanno affermato oggi Michele De Palma, segretario nazionale Fiom-Cgil e responsabile automotive e Simone Marinelli, coordinatore nazionale automotive per la Fiom.
Dal canto suo il governo si muove a passo di lumaca. Sull’auto stiamo “definendo un piano di medio termine” ha detto oggi il ministro delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibile, Enrico Giovannini, a Sky Tg24, sottolineando poi che “l’Italia non per colpa di questo governo, ma per colpa della disattenzione negli anni passati, non ha impostato un vero e forte piano di creazione di infrastrutture elettriche”. Il primo a non voler investire sull’elettrico fu l’osannato Sergio Marchionne, ex amministratore delegato di Fca. Mercoledì scorso si è svolto un vertice tra ministri a palazzo Chigi dopo che, in un’inedita richiesta congiunta, sia sindacati sia Confindustria hanno sollecitato il governo di darsi una mossa nella gestione della complicata transizione verso l’elettrico. Dall’incontro tra i ministri Franco, Cingolani, Giovannini e Giorgetti, a cui Mario Draghi non ha preso parte perché a Genova, è emerso un impegno ad incontrarsi per affrontare il problema. Con calma.