“Stiamo aspettando che il Parlamento ci dia queste nuove norme. Altrimenti continueremo a contare le sentenze di assoluzione per cui ci sono i morti, ma nessuno è colpevole. Io non mi rassegno”. Raffaele Guariniello è stato il procuratore simbolo della lotta all’eternit, fin dal processo di Torino, primo caso al mondo in cui i vertici aziendali vengono condannati. In pensione dal 2015, per otto mesi ha presieduto la “Commissione per la riforma della legge sull’amianto” istituita con decreto dall’ex ministro Costa a marzo del 2019. A titolo gratuito il gruppo di esperti ha elaborato un testo già articolato per sostituire la legge del 1992, ma da un anno e mezzo giace in un cassetto: quella proposta non è stata fatta propria dal governo né assorbita dal Parlamento. Guariniello, che è uomo delle istituzioni, non entra in polemica sulle motivazioni, auspica che quel lavoro sia ripreso dalle commissioni e si dichiara “a disposizione per qualsiasi ulteriore sviluppo”. Intervistato dal fattoquotidiano.it pone però l’accento sull’assoluta urgenza di modificare le norme in materia penale, come da lui indicato in quel testo rimasto solo sulla carta (scarica il testo della bozza)

Una parola sulla riforma mancata
La commissione ha prodotto quanto gli è stato chiesto. Il suo lavoro l’ha fatto egregiamente. Lo consegnai io stesso al ministro, era il 30 giugno 2020. Gli sviluppi successivi non toccano a noi. Ma considero quella proposta un punto di eccezionale di arrivo su diversi aspetti, sia sul piano preventivo che repressivo. Tocca al Parlamento. So che alcune parti sono state all’attenzione delle commissioni lavoro e ambiente, non mi risulta siano state approvate ma resto ottimista e auspico ancora si possa dare aiuto alle comunità colpite dall’amianto.

Quale è stato il suo contributo specifico all’articolato?
Mi sono concentrato sugli aspetti penali della norma. Vede, capita ogni tanto che qualche suo collega mi chiami perché esce la notizia di un’assoluzione in Cassazione che “chiude il processo per le morti di amianto”. E’ appena successo col Petrolchimico. E ogni volta mi chiedono: “come è possibile?”.

E cosa risponde?
Che non c’è da stupirsi. Per oltre 20 anni la Corte di Cassazione ha confermato una condanna dopo l’altra per i morti causati dall’amianto. Ma pochi sanno che la Cassazione non è più così “implacabile”, anzi. Io seguo tutte le sentenze e 24, l’ultima depositata il 6 dicembre scorso, escludono la responsabilità penale del datore di lavoro per i morti d’amianto.

Sulla base di che cosa?
La sezione Quarta della Cassazione Penale, specializzata in questa materia, ha cambiato idea. E questo a partire da una sentenza del 2016 che ha cominciato a dire che l’amianto causa sì tumori o mesoteliomi, ma che non sapendo in che data precisa il tumore è insorto nel singolo lavoratore a fronte di tanti amministratori e presidenti che si sono succeduti nell’azienda, non saremmo in grado di attribuire con certezza la responsabilità della morte a questo o a quell’imputato. E quindi nessuna responsabilità viene riconosciuta.

Succede spesso?
Pochi lo sanno ma questa ormai è linea prevalente. Ad oggi ho già raccolto 24 sentenze tutte riguardanti grandi aziende, e non per un singolo caso di morte ma centinaia, che escludono la responsabilità penale.

E bisogna rassegnarsi a questo, non c’è niente da fare?
Non è proprio così, perché nel contempo un’altra sezione della Cassazione, la Terza, ha pronunciato in questi stessi anni 7 sentenze in cui invece riconosce la responsabilità e fa rivivere la giurisprudenza del passato.

E cosa diceva?
Che la colpa per i morti deve essere attribuita a tutti i responsabili dell’azienda che si sono susseguiti nel tempo, perché le condotte di tutti hanno contribuito a determinare la patologia absesto-correlata, il mesotelioma ad esempio. Quindi siamo difronte a 24 sentenze della Quarta sezione che escludono e 7 delle Terza che invece sono di opposto avviso.

E dunque?
Di fronte a questo dato, quello che io sto cercando di sottolineare è che c’è più che mai bisogno di un intervento parlamentare che chiuda i varchi aperti da questa giurisprudenza molto meno severa rispetto al passato. Ma non solo su amianto, anche sugli incidenti sul lavoro, i disastri ambientali tipo Viareggio. Quello che sto chiedendo al Parlamento è proprio questo, di prenderne atto e di fare delle norme che chiudano questa breccia che impedisce di fare giustizia, che ponga un freno a tutte queste assoluzioni e prescrizioni.

Che conseguenze ha tutto questo?
Oggi stiamo vivendo un’epoca in cui ci sono comunità, non singoli, ma intere comunità, che aspettano giustizia e che non riescono ad averla. Qui c’è bisogno di una parola del legislatore. Prenda Eternit. La Cassazione ha detto che il disastro cessa il giorno in cui cessano le emissioni di amianto, quindi nel giorno in cui si chiude la produzione. Da quella data inizia a decorre il termine di prescrizione. Era il 1986 e quindi tutto quello che avviene dopo, i morti, l’amianto che resta dappertutto etc sono irrilevanti.

E cosa avevate previsto nel testo?
Abbiamo detto “no”, scriviamo una norma che dice che il disastro si consuma “finché si producono effetti per l’uomo e per l’ambiente”. Basta una norma di questo genere e non ci sarebbero tutte queste prescrizioni che stanno colpendo i processi in materia di disastri ambientali. Stiamo aspettando che il Parlamento ci dia queste nuove norme, altrimenti continueremo a contare le sentenze di assoluzione per cui ci sono i morti ma nessuno è colpevole.

E torniamo allora alla vostra riforma, poi rimasta sulla carta
Una delle proposte che avevamo fatto per rendere i processi più rapidi è fare la Procura Nazionale sulla Sicurezza del lavoro. C’è anche un disegno di legge in discussione al Senato. Queste norme sono già scritte. Chiediamo al Parlamento di discuterle. Non sono oro colato, ma è importante che si dia una risposta alla richiesta di giustizia che arriva da tante comunità dappertutto in Italia. Ma che gli orientamenti ora prevalenti in Cassazione dal 2016 purtroppo vanificano.

Cosa le fa più paura?
Vedere queste comunità , associazioni di vittime, che fanno messaggi, inviano comunicati, adesso stanno mettendo in luce la necessità di tutelare le vittime, perché oggi come oggi rischiano di non esserlo. Non parliamo solo del grande problema degli infortuni sul lavoro che feriscono il nostro paese ma di malattie professionali, tumori, disastri che chiedono giustizia e noi gliela dobbiamo dare. Io non mi rassegno.

E cosa pensa di fare?
Nel mio piccolo, ad esempio, mi sono rivolto all’Europa. La Ue ha sottolineato più volte l’esigenza di giustizia, ha anche adottato una direttiva sulla tutela penale dell’ambiente e proprio l’anno scorso ha espresso l’intenzione di modificare questa direttiva per renderla ancora più efficace, con sanzioni che siano efficaci, persuasive, effettive. E ha chiesto a chiunque viva nelle comunità di inviare delle proposte. Io mi sono permesso di inviare alla Commissione un documento in cui sottolineo proprio quei problemi che le ho esposto e che impediscono ormai di osservare la direttiva. E allora dico, finché avremo una giurisprudenza come l’abbiamo, le sanzioni non ci sono. E neppure il deterrente.

Cosa risponde a chi dice “pensate solo alla repressione”
Che la repressione serve anche a fare prevenzione: se a un certo punto passa il messaggio che le sanzioni ci sono, scritte sulla carta, ma non vengono concretamente applicate succede quello che succede in altri settori, come nei cantieri edili, dove oggi non si fa che cadere dai ponteggi.

t.mackinson@ilfattoquotidiano.it
Twitter:@thomasmackinson

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