Leggo commenti singolari, per dirla in maniera delicata, sulla recente riforma costituzionale degli articoli 9 e 41. Alcuni di questi sono anche in calce al post che ho dedicato al tema su questo blog.
In particolare, la pietra dello scandalo sono le affermazioni sulla necessità, con il nuovo articolo 9, di un più serio bilanciamento delle esigenze di tutela del paesaggio, da un lato, e di sviluppo delle fonti di energia rinnovabile – anche in chiave di rispetto dei numerosi e doverosi obblighi che ha assunto in tal senso il Paese in sede sovranazionale e internazionale – dall’altro. Diciamola meglio: la necessità di una più rigorosa valutazione di queste ultime esigenze contro le prime, quando si ponga un oggettivo contrasto tra le due; come accade ormai non di rado.
E’ un discorso ampio e maledettamente complesso, ma, da modesto pratico del diritto quale sono, è il caso che ceda, almeno in questa sede, la parola alla giurisprudenza amministrativa, che sempre più spesso è chiamata a occuparsi di queste questioni:
La compatibilità delle innovazioni rispetto al vincolo paesaggistico va valutata diversamente a seconda della natura e dell’utilità delle singole opere; pertanto, l’installazione di pannelli fotovoltaici – attualmente considerati desiderabili per il contributo alla produzione di energia elettrica senza inconvenienti ambientali – non può essere vietata facendo riferimento alla loro semplice visibilità da punti di osservazioni pubblici, ma solo dando prova dell’assoluta incongruenza delle opere rispetto alle peculiarità del paesaggio. […] Orbene, a fronte degli elementi costituiti dal generale favor legislativo […] è opinione del Collegio che fosse onere della Soprintendenza rendere un’analitica e ben approfondita motivazione a supporto del proprio diniego, al fine di far effettivamente comprendere perché la semplice realizzazione dei pannelli dovesse ritenersi incompatibile con i valori paesaggistici, architettonici e ambientali di riferimento. (Tar Molise, sent. 391/2021 del 22/11/2021).
Lo scorso anno era stata la volta dello stesso Consiglio di Stato a sancire che la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili è infatti un’attività di interesse pubblico che contribuisce anch’essa non solo alla salvaguardia degli interessi ambientali ma, sia pure indirettamente, anche a quella dei valori paesaggistici. (Cons. Stato, Sez. IV, Sent., (data ud. 11/02/2021) 12/04/2021, n. 2983)
In entrambi i casi, i provvedimenti di diniego delle Soprintendenze sono stati bocciati dalle Autorità Giudiziarie, ovviamente.
Ecco, quando si accennava alla necessità – sopravvenuta con la riforma dell’art. 9 della Costituzione – di un più rigoroso bilanciamento di interessi tra la tutela del paesaggio e il bisogno di fonti di energia rinnovabile si intendeva anzitutto questa prima, anche se non esaustiva, implicazione: l’obbligo in capo agli enti preposti di una motivazione seria a base della loro decisione, quando quest’ultima arrivi a valle di un bilanciamento come quello succitato.
Per essere anche in questo caso chiari fino in fondo: dall’8 febbraio scorso – data di inserimento nell’articolo 9 della Costituzione della tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni – le Soprintendenze hanno un obbligo in più di rendere sistematicamente “un’analitica e ben approfondita motivazione a supporto del proprio diniego, al fine di far effettivamente comprendere perché la semplice realizzazione” di pannelli fotovoltaici debba “ritenersi incompatibile con i valori paesaggistici, architettonici e ambientali di riferimento”; e hanno, quindi, un divieto in più di liquidare le questioni loro sottoposte con dinieghi aventi una mera “apodittica motivazione”, per riprendere sempre le parole del Tar. Un obbligo e un divieto che hanno la loro fonte in una norma della Carta costituzionale: il nuovo articolo 9.
Per il resto, si può anche muovere da posizioni più o meno nobilmente conservatrici; ma la mia modesta valutazione è che questo Paese abbia anzitutto un disperato bisogno di ecosostenibilità nonché di modernità. Il suo straordinario paesaggio e il suo immenso patrimonio culturale devono costituire per i suoi cittadini un elemento di consapevolezza civile: ossia di conoscenza della sua storia come chiave di interpretazione e di trasformazione del suo presente. Sarebbe imperdonabile farli diventare un altro piombo nelle ali di quel procedimento di modernizzazione, di progresso che già, in questo Paese, sconta ritardi atavici.
Per queste ragioni il paesaggio non può essere trattato come un museo ma come un organismo vivente. Un organismo vivente che, in quanto tale, deve mutare, in maniera razionale e controllata. Come mutano i costumi, le norme. Come mutano i tempi.
Per questo serve un ambientalismo progressista. Per tutelare seriamente l’ambiente, la biodiversità, gli ecosistemi e il clima. Anche nell’interesse delle future generazioni.