di Stella Saccà
Se stiamo male è un bene. Restare impassibili a quello che ci sta succedendo è un peccato. Certo, ridere fa bene, riderne fa bene, ma è lecito stare male, è dovuto stare male, è un bene stare male. Perché se stiamo male vuol dire che siamo vivi, che eravamo vivi. Che quello per cui respiravamo ci teneva in vita davvero, e ora che ci è stato attutito, modellato, moderato, sospeso, tolto, ci manca. Come quando manca l’ossigeno.
Chi si nutriva di musica, di teatro, di danza, di persone, di viaggi, di scoperta, di speranza, di futuro deve stare male, ha il dovere di stare male, perché se sta male è ancora vivo. L’ossigeno, ai morti, non manca. E allora anche se andiamo avanti, anche se ci trasciniamo come fossimo risucchiati da una calamita, gridiamolo se stiamo male. La presa di coscienza del malessere è il primo passo verso la guarigione, verso l’afferrare la cura.
Gridiamolo, se stiamo male. Se stiamo male per noi, perché abbiamo perso il lavoro, perché ci mancano emozioni e prospettiva, perché ci manca viaggiare, perché ci manca sorridere agli estranei per strada perché così non si vedono i sorrisi e farlo con gli occhi a volte non basta. Diciamolo se stiamo male anche se non siamo stati meglio. Diciamolo se ci manca l’ossigeno, perché se stiamo male, se percepiamo il malessere, allora c’è speranza che quando la primavera tornerà su questa nostra terra, non troverà solo alberi secchi dalle radici perdute.