di Gaetano Benedetto, presidente Centro Studi Fondazione WWF Italia

Non si fraintenda: la riforma costituzionale sull’ambiente che finalmente è stata approvata non è importante perché riconosce il valore costituzionale della tutela ambientale, questo era già avvenuto tramite numerose sentenze della Corte Costituzionale, ma perché introduce la tutela ambientale (e non solo) tra i principi fondamentali della Carta Costituzionale.

Sin dagli anni 80 la Corte Costituzionale ha definito l’ambiente come “un elemento determinativo della qualità della vita”, un valore “primario ed assoluto”, nonché un “bene unitario che va salvaguardato nella sua interezza” per altro “non suscettibile di essere subordinato ad altri interessi”. La Corte Costituzionale dovette necessariamente esprimersi anche perché la parola ambiente non era presente nella Costituzione approvata nel 1947, ma è comparsa per la prima volta con la riforma del Titolo V nel 2001.

Il Titolo V tratta però di competenze istituzionali, come tale dunque viene trattata anche la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, attribuita all’esclusiva potestà legislativa dello Stato (art. 117, com.2, punto s). Poiché però lo stesso articolo (al comma 3) dispone che la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali è materia di legislazione concorrente, cioè di competenza anche regionale, si aprì un ampio dibattito politico e giuridico più volte approdato in Corte Costituzionale che sottolineò come l’ambiente, non potendo considerarsi come singola materia, dev’essere ritenuto valore trasversale costituzionalmente protetto.

Dopo numerose proposte presentate nelle precedenti legislature, la riforma ora finalmente approvata, da un lato “ufficializza” e scolpisce il grande valore che la Corte Costituzionale ha più volte affermato rispetto all’ambiente inteso anche come patrimonio naturalistico, da un altro (a nostro parere) accentua il ruolo dello Stato rispetto alla tutela dell’ambiente e degli ecosistemi perché inserisce quelle che prima erano mere competenze tra i principi fondamentali della Carta Costituzionale.

L’importante richiamo alla tutela della biodiversità chiarisce ancor di più che la tutela di cui si parla è esattamente quella della natura, la cui conservazione non dev’essere garantita nel solo nostro interesse (non c’è nulla che noi utilizziamo che non provenga dai sistemi naturali), ma anche nell’interesse delle generazioni future.

Se dunque è vero che non si è riconosciuto un “diritto della natura” (come nelle Costituzioni di Bolivia ed Equador), è pur vero che il richiamo esplicito alle generazioni future rappresenta qualcosa di più che un dovere di conservazione di specie ed habitat, perché attribuisce infatti la responsabilità di garantire il presupposto stesso della vita a coloro che ancora devono nascere. In questo senso vale la pena ricordare che gli umani costituiscono una specie animale, frutto di un complesso processo evolutivo, pertanto la sopravvivenza della specie (come quella di qualsiasi altra specie) dipende da l’equilibrio naturale che gli consente di vivere.

È in questo senso che va letta anche la modifica apportata dalla riforma all’art. 41. Per capirne la portata vale la pena ricordare che siamo nella Parte I della Costituzione, quella dei “Diritti e doveri dei cittadini”, più specificatamente al Titolo III relativo ai “Rapporti economici”. Sancire che l’iniziativa economica non può svolgersi in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, (oltre che alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, come già era disposto) ancora una volta può e dev’essere letto in relazione alla nostra vita, ma certo dev’essere considerato anche in relazione alle generazioni future.

Un’economia, infatti, che dilapida risorse naturali pregiudicando la possibilità di queste di rigenerarsi, di lasciare un mondo inquinato dove i servizi ecosistemici non sono più in grado di fornire beni essenziali alla vita quali l’aria e l’acqua di cui abbiamo bisogno, ancora una volta significa pregiudicare la vita di chi devono ancora venire.

La nostra Costituzione così riformata è ancor più “bella”, rappresenta meglio la sensibilità e l’attenzione che abbiamo maturato sulle questioni ambientali pur non essendo ancora capaci di dare coerenza a quanto ormai sappiamo, ma non c’è ancora piena consapevolezza di quanto l’uomo dipenda dalla natura in modo inscindibile. Su questo sarebbe utile rileggere un documento storico, la Carta Mondiale della Natura approvata a Montevideo nel 1982, con cui già quarant’anni fa con chiarezza si affermava che “la civiltà ha le proprie radici nella natura che ha modellato la cultura umana ed influenzato tutte le realizzazioni artistiche e scientifiche, vivere in armonia con la natura offre agli esseri umani le migliori opportunità per sviluppare la loro creatività e per il riposo e lo svago”.

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