Si erano presentati alle selezioni pieni di grandi speranze. Perché anche se l’annuncio era di un’agenzia interinale, Adecco, il committente è di quelli che da sempre fanno gola a chi cerca un posto sicuro: Poste Italiane, un grande classico del genere “sedia calda” anche dopo la cosiddetta privatizzazione. E così nel lontano 2018 sono entrati come “somministrati” in oltre 400 tra le fila del personale del gruppo di spedizioni del ministero del Tesoro e della Cassa Depositi e Prestiti, con un contratto iniziale di 6 mesi a fronte della richiesta di competenze molto specifiche e costose patenti speciali. Più della metà ha coltivato per tre anni l’attesa di una regolarizzazione che non è mai arrivata.
Prima il cambio di mansioni e il taglio di stipendio – Eppure per arrivare alla meta hanno accettato anche un cambio mansioni a due anni dal primo incarico che ha comportato una decurtazione sostanziosa della busta paga: 300 euro mensili su circa 1600. Il male minore pur di sbloccare lo stallo che si era creato quando Poste si era incaponita con un’interpretazione restrittiva del decreto Dignità e non ne voleva sapere di trattenere gli interinali per più di 24 mesi. Non c’era moral suasion ministeriale che tenesse. Neanche a fronte dell’assunzione a tempo indeterminato da parte di Adecco di 250 degli oltre 400 iniziali. Poi l’azienda ha parzialmente capitolato, ma solo a patto che i lavoratori cambiassero mestiere passando da autisti addetti ai trasporti interni a portalettere. E comunque i contratti sono stati prorogati di soli 24 mesi nonostante non ci fossero limiti legali allo staff leasing.
Poi la consegna delle lettere in pieno Covid – E così in Italia abbiamo avuto anche i postini interinali. Paradosso nel paradosso, ad assumerli è stato un gruppo parapubblico (allo sportello è tutto un parlare di società privata, ma la realtà è fatta di un azionariato che per oltre il 60% fa capo al Tesoro) sotto un governo che aveva fatto una legge proprio per disincentivare l’uso degli interinali e dei vari contratti parasubordinati. Un intento che il gruppo di Matteo Del Fante evidentemente non ha colto: l’azienda che ha chiuso il 2021 con 1,2 miliardi di utili su 10,5 miliardi di ricavi da mercato a livello di gruppo, se n’è servita da settembre 2020 in poi, trovandoseli belli pronti all’uso quando con la seconda ondata è arrivata una situazione che avrebbe davvero giustificato il ricorso al lavoro somministrato, quando là fuori non c’era praticamente nessuno tranne i gendarmi, i fattorini e appunto i postini.
Una storia di elogi, addii e incertezze – Sottocategoria, i postini Adecco senza firma digitale, senza credenziali per il palmare che consegnavano tutto a mano anche quando non ci sfioravamo neppure con la punta delle dita. Il tutto condito da pubblici elogi, encomi e flash mob. Poi l’oblio. Quindi la chiusura del contratto: a fine dicembre 2021 è arrivata un’asciutta e-mail di addio che ha annunciato la fine della “missione” presso Poste e il via a un percorso di ricollocamento tutto da scrivere che ha fatto sprofondare nell’incertezza e nello sconforto tanti padri di famiglia col mutuo da pagare e i bambini da mandare a scuola e non pochi lavoratori a un passo dalla pensione.
D’altro canto l’azienda del Tesoro e di Cdp non si era mai presentata neanche ai tavoli al ministero e l’agenzia interinale aveva iniziato a sfoltire il nucleo originario dei postali interinali. Dopo l’ultimo rinnovo Poste aveva iniziato a tentennare rispetto alla scadenza di fine 2021, sono girati dei commenti sugli standard inadeguati dei portalettere e di relativi feedback negativi e poi a tre giorni dalla scadenza sono stati lasciati tutti a casa. Adecco ora li tiene in disponibilità, che significa un paio di mesi a 800 euro lordi e poi al massimo 8 mesi a 1000 euro lordi in attesa di nuovo incarico, in assenza del quale scatta il licenziamento. Finora, riferiscono i sindacati, è stata ricollocata una decina di lavoratori, mentre 85 sono stati licenziati e i superstiti in attesa di essere scaricati sono 165, tutti over 35enni.
La selezione che seleziona solo i precari concordati – La cosa incredibile è che Poste a fine 2021 ha assunto 1700 portalettere. Agli interinali era stato detto che non avevano i requisiti per entrare in graduatoria. Poi però, riferiscono, “viene fuori che avendo fatto 38 mesi avremmo superato i ctd (i contratti a tempo determinato) e sbancato la graduatoria”. Fantasie? Malignità? Manie di persecuzione? Mica tanto: nel corso di un Question time alla Camera il 9 febbraio il ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà ha fatto sapere sul merito che Poste ha spiegato ai ministeri competenti di aver interrotto il rapporto di lavoro il 31 dicembre 2021 “in considerazione dell’approccio che l’azienda adotta nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, i quali vengono attivati in funzione della stagionalità del business del recapito, nonché in ragione dell’inserimento delle stabilizzazioni previste nel 2022 sulla base di accordi tra l’azienda e le organizzazioni sindacali che riguardano risorse che hanno avuto un contratto a tempo determinato con Poste italiane e non lavoratori che abbiano operato presso l’azienda con uno o più contratti di somministrazione”. In altre parole alle Poste azienda e sindacati decidono quali precari vanno stabilizzati e quali no. E i ministeri competenti si limitano a riferire.