Vaste collezioni di antichissime pitture rupestri, siti archeologici, luoghi unici al mondo e riserve naturali. Almeno 191 siti africani naturali e culturali considerati patrimonio dell’Unesco potrebbero subire gravi conseguenze a causa delle violente inondazioni dovute all’innalzamento del mare. Come per esempio potrebbe accadere al Cardo Maximus a Tipasa in Algeria (nella foto). Questa allarmante prospettiva, descritta sulla rivista Nature Climate Change, è stata delineata dagli scienziati dell’African Climate and Development Initiative (ACDI) dell’Università di Cape Town (UCT), che hanno stimato la possibilità che i cambiamenti climatici provochino serie problematiche ai siti Unesco africani in prossimità delle coste.
Il gruppo di ricerca, guidato da Nicholas Simpson, ha esaminato 284 siti africani considerati patrimonio dell’Unesco. Gli esperti hanno valutato il rischio di ogni luogo modellando diversi scenari di emissioni. I risultati, molto poco confortevoli, suggeriscono che ben 56 siti, pari a circa il 20 per cento del totale considerato, sono attualmente in pericolo e potrebbero subire significative conseguenze dovute alle inondazioni costiere. Secondo quanto emerge dall’indagine, almeno 151 siti naturali e 40 culturali potrebbero inoltre essere considerati a rischio elevato entro il 2050 indipendentemente dallo scenario di emissioni. Eventi estremi, che si manifestano con una frequenza di uno ogni cento anni, potrebbero infatti danneggiare tutti i patrimoni costieri in Camerun, Repubblica del Congo, Gibuti, Sahara Occidentale, Libia, Mozambico, Mauritania e Namibia.
In Congo, ad esempio, si trova il Parco nazionale di Salonga, la più grande riserva di foresta tropicale dell’Africa, dove prosperano gli habitat di molte specie endemiche in via di estinzione, come lo scimpanzé nano, il pavone del Congo, l’elefante di foresta e il coccodrillo africano dal muso sottile. In Libia sorge il sito archeologico di Leptis Magna, una delle più belle città dell’Impero Romano, che diede i natali all’imperatore Settimio Severo. Il sito archeologico di Sabratha, sempre in Libia, ospita invece una base commerciale fenicia e fu la prima città ad essere romanizzata e ricostruita nel II e III secolo d.C. Oltre mille anni di storia possono essere ricostruiti nelle rovine di Cirene, il terzo sito minacciato della Libia. Sull’isola di Mozambico (che si trova di fronte allo Stato, ndr) si trova invece una città fortificata che fu una base commerciale portoghese caratteristica per l’unicità delle tecniche e dei materiali da costruzione e dei principi decorativi, rimasti invariati dal XVI secolo.
In Mauritania il sito Unesco costiero è il parco nazionale del banco di Arguin, che ospita una grande varietà di uccelli migratori, tartarughe marine e delfini. Per quanto riguarda la Namibia, sono a rischio i siti di Twyfelfontein, dove è possibile visionare una delle maggiori concentrazioni di petroglifi dell’Africa, e il deserto del Namib, l’unico deserto costiero al mondo che include vasti campi di dune influenzati dalla nebbia. Tra le zone più esposte, anche Aldabra, nelle Seychelles, il secondo più grande atollo corallino al mondo, e l’isola di Kunta Kinteh, dove si trova il Fort James, costruito nel 1651 e successivamente ribattezzato in onore del duca di York. Nello scenario più negativo, anche Costa d’Avorio, Capo Verde, Sudan e Tanzania subirebbero conseguenze disastrose. “I nostri risultati – commentano gli autori – sono molto preoccupanti. Nessuno di questi paesi attualmente gode di una gestione adeguata o programmi di intervento mirati alla protezione dei siti e alla mitigazione del rischio”.
Gli scienziati precisano che per preservare i siti Unesco sarà necessario implementare azioni mirate ed efficaci per limitare le emissioni di gas serra e mitigare le conseguenze dovute ai cambiamenti climatici. “Negli scenari più positivi – concludono gli autori – il numero di siti esposti a pericolo elevato nel 2050 potrebbe diminuire del 25 per cento. Sarebbe un notevole risparmio in termini di perdite e danni. Il nostro lavoro contribuisce a individuare le aree che necessitano particolari azioni protettive. Sarà necessario approfondire le valutazioni sulla vulnerabilità dei diversi siti e le opzioni di intervento più efficaci per ciascuna area”.
Valentina Di Paola