In queste ultime settimane si è aperto anche tra gli organi di informazione e nelle televisioni un cono di luce sulla questione sfratti. Dopo che per due anni la questione è stata trattata come una guerra tra inquilini e proprietari che, impertubabili alla pandemia mondiale, chiedevano esecuzioni di sfratto di massa, si riscontra una nuova attenzione sul tema degli sfratti. Ci si è accorti all’improvviso che in Italia esiste la questione della precarietà abitativa.
In particolare i media stanno pubblicando quotidianamente le voci allarmate di sindaci e assessori e i dati che si leggono, forniti da sindaci, assessori, sindacati, sono davvero allarmanti: a Prato sono 700 le famiglie soggette a esecuzioni di sfratto; a Napoli 13.000; a Lucca almeno 100, a Taranto 900, a Brindisi 600, a Padova 700, a Venezia 2000, a Catania 4000, a Pisa almeno 100, a Sesto San Giovanni, oltre 650, a Terni 600, a Verona 1000, a Torino 6000, a Rimini 100, a Roma tra le 10.000 e le 15.000, e si potrebbe proseguire all’infinito. Complessivamente i sindacati inquilini hanno affermato che le richieste di esecuzione in Italia saranno tra le 120.000 e le 150.000 nel corso del 2022.
Dal governo tutto tace nonostante la Corte Costituzionale avesse previsto, ove l’evolversi della emergenza epidemiologica lo richieda, la possibilità di adottare altre misure più idonee per realizzare un diverso bilanciamento ragionevole e proporzionato.
Da parte dei Comuni le risposte che arrivano riguardano solo attività di erogazione di contributi e la richiesta al mercato privato di alloggi a canone agevolato. Proposte fallimentari e assolutamente insufficienti, perché da una parte i contributi affitto sono di minima entità e arrivano in tempi biblici e anche per la doccia fredda arrivata con l’ultima legge di bilancio che reca, per il solo 2022, 230 milioni di euro per contributi affitto (risorse già stanziate nella precedente legge di bilancio) e zero dicasi zero euro per gli anni 2023 e 2024; dall’altra, anche laddove si palesi maggiore offerta di alloggi a canone agevolato, questi hanno livelli di canone di locazione insostenibili per le famiglie sfrattate a basso reddito o per quelle in graduatoria per una casa popolare.
Ho letto nei giorni scorsi decine di articoli e visto diverse trasmissioni televisive che hanno dato voce a sindaci e assessori, ma nessuno dicasi nessuno ha posto la questione centrale e strutturale di dotare i Comuni di più case popolari. Questa è l’unica possibilità di affrontare con un minimo di concretezza la questione sfratti e precarietà abitativa, perché a questa non si risponde con contributi ad effetto placebo ma con una offerta adeguata di alloggi a canone sociale.
Lo stato dell’arte ci dice che il Pnrr non cita mai e non finanzia alcun piano strutturale e programmatico che aumenti la dotazione di case popolari nei Comuni italiani.
Per i piani di rigenerazione urbana, dotati di 3,4 miliardi di euro, i Comuni hanno presentato oltre 2400 progetti: di questi, 1700 approvati e finanziati non si pongono neanche il tema di realizzare case popolari. I Piani innovativi di qualità urbana, dotati di circa 3 miliardi di euro, presentati da Comuni e Regioni solo in rari casi propongono di realizzare case popolari.
Dei circa 2,5 miliardi di euro destinati recentemente alle aree metropolitane per piani integrati, il cui termine di presentazione dei progetti è il 7 marzo 2022, da quanto apprendo, non sembra che prevedano, tra gli altri, progetti di manutenzione per il riuso e la rifunzionalizzazione di strutture edilizie pubbliche esistenti per finalità di interesse pubblico, quindi anche da destinare a edilizia residenziale pubblica a canone sociale.
In tale contesto ha avuto gioco facile Walter De Cesaris, segretario nazionale dell’Unione Inquilini, nell’affermare che è il momento di “atti concreti, basta con i bla bla bla che dietro hanno il nulla”. Ai sindaci e assessori, l’Unione Inquilini ha rivolto una esortazione. Se vogliono affrontare seriamente la questione sfratti e quella più ampia della precarietà abitativa c’è una possibilità concreta da parte dei comuni di dimostrarsi all’altezza: presentino subito ai cittadini, ai sindacati inquilini e prefetti piani comunali che incrementano le case popolari utilizzando i fondi Pnrr destinati a rigenerazione urbana e coesione sociale e i fondi dei piani integrati delle aree metropolitane. Queste le basi per graduare gli sfratti e garantire il passaggio da casa a casa.