In Italia siamo capaci anche di trasformare la matematica in un’opinione. Di dire che due più due non fa quattro, che un giocatore in fuorigioco non è fuorigioco. È successo in questo weekend di Serie A, durante Torino-Venezia (e poi anche in Sassuolo-Roma): due gol annullati giustamente dall’arbitro dopo il controllo al Var, Belotti (e Abraham) segnano in posizione regolare, ma Pobega (e Mancini) sono oltre la linea e partecipano all’azione. Episodi tecnicamente oggettivi eppure contestati da tutti, giocatori, allenatori, commentatori disparati. È vero che si tratta di una questione di interpretazione, perché l’offside non riguarda l’autore della rete ma un suo compagno di squadra, ma in fondo cosa c’è da interpretare: in entrambi i casi il calciatore incide, dunque va punito. Eppure fiumi di polemiche sul tempo impiegato, il recupero eccessivo, lo spirito del gioco, il calcio che così non è più calcio.
Siamo in piena fase di rigetto, una sorta di luddismo applicato al pallone: il calcio italiano ha voglia di restaurazione ed è in atto una vera e propria campagna, a tutti i livelli, anche mediatica, per delegittimare il Var. Non da ora, dalla sua introduzione sono già stati apportati svariati accorgimenti per neutralizzare la pericolosissima tecnologia che rischiava di togliere il potere di vita e di morte dalle mani degli arbitri. Basti pensare all’ormai famosa postilla introdotta nel protocollo, per cui il Var può intervenire “soltanto in caso di chiaro ed evidente errore”, un’autentica presa in giro che lascia enormi margini di discrezionalità (e quindi di disomogeneità e ingiustizia) ai direttori di gara.
Ora l’ultima crociata riguarda il fuorigioco: la casistica più oggettiva che ci sia, seconda solo al gol/non gol, per cui dovrebbe bastare tirare una linea e andare avanti, e invece ormai c’è da ridire persino su questo, come se il problema fosse guardare un fotogramma in più, non prendere la decisione giusta. Infatti la soluzione non è meno tecnologia, ma più tecnologia: ad esempio, togliendo il fuorigioco dalle mani di arbitri e guardalinee per assegnarlo al Var.
È notizia proprio di questa settimana l’annuncio della Fifa di accelerare sul cosiddetto “fuorigioco semi-automatico”, che nelle intenzioni del massimo organismo mondiale dovrebbe rivoluzionare il gioco. Non sarà proprio come la goal-line technology, ma quasi: attraverso un complesso sistema di telecamere posizionate sotto il tetto dello stadio e il tracciamento degli arti, il software in sala Var sarà in grado di elaborare le posizioni dei calciatori praticamente in tempo reale, segnalando l’esito alla squadra arbitrale. Questo permetterà di ridurre di molto l’attesa, e forse anche di eliminare la prassi di tenere giù la bandierina per far finire l’azione e andarla poi a verificare al Var (non ce ne sarà più bisogno). La Fifa ci crede molto, ha testato il nuovo meccanismo all’ultimo Mondiale per club e vorrebbe approvarlo in tempo per la prossima Coppa del mondo in Qatar.
È un primo passo. Quello successivo sarà poi semplificare le regole, stabilire una casistica chiara di quali sono i fuorigioco attivi o passivi: perché sul caso di Belotti nemmeno l’intelligenza artificiale risolverà completamente il problema, finché non ci saranno delle norme semplici, inequivocabili. Se un calciatore partecipa è sanzionabile, punto, senza interpretazioni. Un po’ come per i falli di mano (su cui soprattutto l’anno scorso se ne sono viste di tutti i colori), l’obiettivo dev’essere ridurre il più possibile la componente arbitraria e arbitrale, per avere decisioni trasparenti e imparziali. Il trionfo del merito sportivo, grazie alla tecnologia, non contro la tecnologia. E chi dice che così non è più calcio, forse ha ragione: non sia più quel vecchio calcio dei favori arbitrali e delle polemiche.