La Corte costituzionale si riunisce per decidere sull'ammissibilità dei sei referendum sulla giustizia e dei due della Coscioni su eutanasia e cannabis. Ma se sui primi sei dovesse arrivare il via libera il centrodestra rischia di spaccarsi di nuovo: Fratelli d'Italia non ha fatto campagna per il quesito che abroga la legge Severino e fa rientrare i condannati nelle istituzioni, nè su quello che depotenzia la custodia cautelare lasciando liberi sia i colletti bianchi che gli spacciatori e i ladri d'appartamento. Dalla responsabilità civile diretta agli avvocati che giudicano i magistrati: ecco le sei proposte e i rischi che comportano
C’è un quesito per abrogare la legge Severino e far rientrare in Parlamento i politici che sono stati condannati. Un altro che depotenzia la custodia cautelare, rendendola inapplicabile nei casi in cui serve di più. E poi gli evergreen della retorica anti-magistrati: la separazione delle carriere (che in realtà non lo è), la responsabilità civile diretta, la pretesa di farli giudicare dagli avvocati. Martedì la Corte costituzionale si riunisce per decidere sull’ammissibilità dei sei referendum sulla “giustizia giusta“, così battezzati dal loro comitato promotore, lo strano cartello formato dal Partito radicale e dalla Lega di Matteo Salvini. Ma non solo: al vaglio ci sono anche i due quesiti su eutanasia e cannabis legale, promossi da una lunga lista di movimenti e partiti con l’associazione Luca Coscioni a fare da capofila. Quello della Corte è l’ultimo passaggio necessario per arrivare a calendarizzare i referendum nell’intervallo tra il 15 aprile e il 15 giugno (come prevede la Costituzione).
Firme popolari e consigli regionali – Al di là del merito, a saltare agli occhi è subito una differenza di metodo: mentre i referendum sui diritti civili arrivano a Roma spinti da un’impressionante mobilitazione popolare – un milione e 220mila firme per l’eutanasia, 630mila in poche settimane per la cannabis – quelli radical-leghisti si appoggiano al voto di otto Consigli regionali a maggioranza di centrodestra, che hanno approvato i quesiti la scorsa estate (la Costituzione ne richiede almeno cinque). Dalla Lega assicurano che anche le firme raccolte sarebbero state sufficienti: secondo le veline di via Bellerio sono state tra 770mila e le 775mila per ogni quesito, ben oltre le 500mila necessarie. Ma di fatto nessuno le ha mai viste, perché il comitato – pur potendolo fare – ha scelto di non depositarle alla Corte di Cassazione per farne verificare la validità.
Su cosa deve esprimersi la Consulta – Su cosa deve esprimersi la Consulta? Formalmente solo sul rispetto dell’articolo 75 della Costituzione: “Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali”. In base a questo parametro nessuno degli otto quesiti sarebbe a rischio. Ma nella prassi l’ambito del giudizio si è esteso fino a trasformarsi in una valutazione complessiva della compatibilità dei referendum con i principi costituzionali. Per questo, secondo alcuni studiosi, varie proposte di Lega e radicali sono passibili di bocciatura. Ma nei giorni scorsi il presidente della Consulta, Giuliano Amato, ha invitato a “non cercare il pelo nell’uovo” e favorire il più possibile il voto popolare. Un’uscita che ha provocato l’approvazione dei comitati proponenti ma anche qualche polemica: non è forse il caso che il presidente della corte si esprima in questo modo. Anche perché la decisione sull’ammissibilità avrà un notevole peso politico. Attorno ai referendum, infatti, ruota una potenziale nuova frattura nel centrodestra: Giorgia Meloni non ha fatto campagna per i quesiti su custodia cautelare e legge Severino, sfidando Salvini sul terreno della lotta alla criminalità e alla corruzione. Un tema che in campagna elettorale potrebbe diventare una mina, piazzata sotto ai piedi del leader leghista. Vediamo allora quali sono nel dettaglio le otto proposte referendarie e quello che comportano.
Abrogazione legge Severino – Il quesito abroga il decreto legislativo del 2012 (voluto da Paola Severino, ministra della Giustizia nel governo Monti) che prevede l’incandidabilità e la decadenza dalle cariche elettive per chi è condannato in via definitiva a una pena superiore ai due anni di carcere. Per gli amministratori locali, invece, basta anche una condanna in primo grado per una serie di reati contro la pubblica amministrazione per essere sospesi dalla carica per un periodo massimo di 18 mesi. È in base a questa legge, da sempre fumo negli occhi per Forza Italia (nel 2012, però, furono molti i voti del Pdl a favore) che nel 2013 Silvio Berlusconi è stato costretto ad abbandonare il Senato. Secondo Lega e Radicali, “nella stragrande maggioranza dei casi in cui la legge è stata applicata (…) il pubblico ufficiale è stato sospeso, costretto alle dimissioni, o comunque danneggiato, e poi è stato assolto perché risultato innocente”. Fratelli d’Italia non è d’accordo: abrogarla, ha detto Meloni, sarebbe “un passo indietro nella lotta alla corruzione e rischierebbe di dare il potere ad alcuni magistrati di scegliere quali politici condannati far ricandidare e quali interdire dai pubblici uffici”.
Limiti alla custodia cautelare – Il quesito abolisce l’ipotesi più importante e applicata per cui il giudice può disporre la misura cautelare della custodia in carcere nel corso delle indagini: il rischio di reiterazione di reati “della stessa specie di quello per cui si procede”. Se passasse, diventerebbe impossibile ricorrere al carcere in mancanza di una delle altre due esigenze al momento previste dalla legge: il pericolo di inquinamento delle prove o il pericolo di fuga, molto più difficili da dimostrare. Una limitazione che andrebbe a salvare sia i colletti bianchi sia tantissimi delinquenti comuni: per applicare la custodia cautelare a un ladro d’appartamento o a uno spacciatore è facile motivare con il rischio di reiterazione del reato, quasi impossibile farlo con l’inquinamento delle prove o il pericolo di fuga. E nel secondo caso basterebbe ritirare i documenti validi per l’espatrio. Secondo i promotori, la reiterazione “è la motivazione che viene utilizzata più di frequente per disporre la custodia cautelare, molto spesso senza che questo rischio esista veramente“. Anche in questo caso per Meloni è facile infierire sull’incoerenza della Lega nell’appoggiare il quesito: che, dice, “impedirebbe di arrestare spacciatori e delinquenti comuni che vivono dei proventi dei loro crimini. Noi vogliamo fermare la criminalità senza se e senza ma”.
Separazione delle carriere – In questo caso il titolo è fuorviante, perché un’autentica separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, con concorsi distinti, potrebbe realizzarsi sono modificando la Costituzione (che parla di un solo “ordine giudiziario”). Ciò che propone il quesito è di far scegliere le funzioni al magistrato all’inizio della carriera, obbligandolo a mantenerle per tutta la vita professionale. I passaggi tra funzioni giudicanti e requirenti, peraltro, sono già rarissimi e subordinati a requisiti stringenti (come l’obbligo di cambiare distretto) e la riforma del Csm e dell’ordinamento giudiziario in discussione alla Camera li limita a un massimo di due. Il quesito proposto, peraltro, è illeggibile: lungo più di mille parole e settemila battute, dovendo abrogare decine di previsioni di legge diverse, occuperebbe da solo l’intera facciata di una scheda elettorale.
Responsabilità civile diretta – La responsabilità civile dei magistrati esiste dal 1988, ma non è mai stata diretta: chi si ritiene leso da un errore giudiziario può far causa allo Stato, che a propria volta si rivarrà sui magistrati nei casi di dolo e colpa grave. La ragione è legata alla necessita di tutelare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura nonché la serenità di valutazione del singolo giudice, che non può rischiare di vedersi citare per danni dalla parte a cui sarà costretto a dare torto. E il giudice – per natura della sua funzione – non potendo dare ragione a tutti, a qualcuno dovrà pur dare torto. Secondo radicali e leghisti, “questo meccanismo è un ingiustificato favoritismo verso alcuni funzionari rispetto agli altri e anche ai comuni cittadini. Favorisce il privilegio e annacqua la responsabilità del magistrato”. Per questo si propone di dare al cittadino – potenzialmente a chiunque sia parte di un giudizio – la possibilità di fare causa direttamente al magistrato. Una novità che avrebbe un effetto rilevante sul sistema giudiziario: renderebbe ancora più difficile prendere decisioni “scomode” nei confronti di imputati eccellenti o grandi aziende, cioè quei soggetti che – avendo un grande potere economico – possono poi permettersi i migliori legali.
Avvocati con diritto di voto nei consigli giudiziari – I consigli giudiziari sono i riferimenti locali del Consiglio superiore della magistratura: emettono i pareri che palazzo dei Marescialli è obbligato a prendere in considerazione per decidere sugli avanzamenti di carriera dei magistrati. Al momento gli organi sono composti per un terzo da rappresentanti dell’avvocatura e dell’Università, ma senza diritto di voto sulle valutazioni professionali. Il referendum invece, in nome “dell’equa valutazione”, vorrebbe garantire ad avvocati e professori di “partecipare attivamente alla valutazione dell’operato dei magistrati”: con ciò permettendo a un avvocato di decidere sulla carriera di un magistrato che magari gli ha dato torto (o ha arrestato il suo cliente) il giorno prima.
Abolizione delle firme per candidarsi al Csm – Si tratta di un quesito dall’effetto sostanzialmente nullo, per quanto sia presentato dai promotori addirittura come “riforma del Csm“. Si prevede infatti che per candidarsi un magistrato non sia più obbligato a depositare le firme di colleghi a proprio sostegno: un numero di sottoscrizioni che a seconda del distretto di Corte d’Appello varia tra le 25 e le 50. Non proprio un ostacolo insormontabile. Peraltro la stessa previsione è contenuta nel disegno di legge in discussione alla Camera: se venisse approvato, il quesito decadrebbe in automatico.
Eutanasia legale – È il primo dei due quesiti promossi dall’associazione Luca Coscioni: consiste in una depenalizzazione del reato di omicidio del consenziente, al momento punito con la reclusione da sei a quindici anni. Se il referendum passasse, resterebbe in vigore soltanto la previsione – già esistente – che prevede l’applicazione della norma sull’omicidio se il fatto è commesso contro una persona minore di 18 anni, contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti, contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione o carpito con l’inganno.
Cannabis legale – Il quesito si propone di intervenire sia sul piano della rilevanza penale sia su quello delle sanzioni amministrative di una serie di condotte in materia di droghe. Si depenalizza la coltivazione di qualsiasi pianta (a prescindere dall’entità) e si elimina la pena detentiva per qualsiasi condotta illecita relativa alla cannabis e alle sostanze ad essa assimilate. Sul piano amministrativo, infine, il quesito propone di eliminare la sanzione della sospensione della patente di guida e del certificato di idoneità alla guida di ciclomotori attualmente destinata a tutte le condotte finalizzate all’uso personale di qualsiasi sostanza stupefacente o psicotropa.