L’acronimo è Pitesai (Piano della transizione energetica sostenibile delle aree idonee), l’effetto è la protesta dei territori. A tre giorni dalla pubblicazione del piano da parte del ministero della Transizione ecologica, i comuni e i movimenti ambientalisti che da sempre si battono contro le trivelle hanno annunciato che presenteranno ricorsi a oltranza per contrastare uno strumento che, a loro dire, non risolverà il problema energetico del Paese e al contrario danneggerà molte aree.
“È UNA MEZZA PRESA IN GIRO: MOLTO RUMORE PER NULLA”
“Peggio non si poteva fare – ha detto il costituzionalista e docente universitario Enzo di Salvatore, componente del coordinamento nazionale No Triv – È un documento che renderà ancora più confuso il settore delle estrazioni, già di per sé caotico. E che non andrà a ridurre i contenziosi dinanzi ai giudici amministrativi, anzi li aumenterà. In Abruzzo ci stiamo già organizzando, con diversi Comuni, per presentare ricorsi”. Nel mirino, inoltre, anche la parole del ministro Cingolani, secondo cui contestualmente al Piano delle aree ora occorrerà raddoppiare le estrazioni, fino ad arrivare al 10% dell’incidenza del gas sul fabbisogno energetico nazionale. “Il Piano e le dichiarazioni di Cingolani si muovono in controtendenza rispetto agli impegni assunti dall’Italia in sede internazionale (gli accordi sul clima) e in sede europea (neutralità climatica entro il 2050) – ha spiegato il costituzionalista – Piaccia o no, in questo modo non sarà possibile mantenere quegli impegni. Il Piano è una mezza presa in giro. Esso distingue tra aree idonee alle attività di ricerca e di estrazione e aree non idonee. Quali sono quelle considerate non idonee? – è stata la domanda retorica di Di Salvatore – Quelle per le quali, di fatto, nessuno ha interesse a cercare ed estrarre idrocarburi“. Gli esempi portati in questa tesi sono evidenti: la regione Val d’Aosta, mai interessata da attività di questo tipo e le regioni per le quali vi sono vincoli assoluti, e cioè aree per le quali esistevano già (da anni) divieti in tal senso: le 12 miglia, le Isole Egadi, il Golfo di Venezia. “Si dice – ha aggiunto – che le aree marine sarebbero state ridotte. Vero, ma questo non dipende dal Piano: la riduzione della zona B (l’Adriatico, per intenderci) risale a molti anni fa; la riduzione del 30% della zona G (Tirreno meridionale e Canale di Sicilia) – ha aggiunto Di Salvatore – è tale rispetto al 1981 e non deriva dal Piano, ma risale al 2013. Infine, che mentre la legge istitutiva del Piano (legge 12 del 2019) aveva aumentato il ridicolo importo dei canoni dovuti fino ad allora dai concessionari, la legge 120 del 2020 lo ha ridotto drasticamente, stabilendo che esso non possa eccedere il 3 percento della valorizzazione della produzione da esse ottenuta nell’anno precedente. L’impressione che ho – ha concluso il costituzionalista – è che si sia fatto molto rumore per nulla”.
“CARO BOLLETTE? QUESTO PIANO NON SERVIRA’ A NULLA”
Altra questione che si allaccia all’approvazione del Pitesai è l’impatto che questo potrà avere sulla produzione di energia e, quindi, sulla vicenda del caro bollette. O, meglio, sull’impatto che non avrà. “Mentre c’è chi continua imperterrito a sostenere che il nostro paese debba riprendere a trivellare a destra e a manca per produrre più gas, rimandando le lancette dell’orologio indietro a 30 anni fa – si legge in una nota dei senatori pentastellati in commissione Industria, Commercio e Turismo – il Movimento 5 Stelle ha depositato una mozione per fornire al paese una ‘cassetta degli attrezzi’ per affrontare il cambiamento. E per individuare soluzioni serie con l’obiettivo di contrastare i rincari nell’immediato, e dall’altra parte di fornire soluzioni strutturali per il futuro. È chiaro – hanno aggiunto – che in questa fase le imprese più esposte dal punto di vista dei consumi vanno sottratte agli usuali meccanismi del mercato. Inoltre, è necessario prevedere l’abbattimento degli oneri sopra una certa soglia. Dall’altra, riteniamo non più rinviabile una ulteriore spinta alle rinnovabili, con una fiscalità agevolata per chi decide di investire su questo fronte e ulteriori interventi per dare più slancio alle comunità energetiche”. Per Girotto, Anastasi, Croatti, Lanzi e Vaccaro “è giunto il momento di mettere in piedi un fondo di solidarietà, partendo proprio dalle restituzioni dei produttori, soprattutto di energia da fonti fossili, che in questa fase stanno collezionando extraprofitti. I 27 punti della nostra mozione – hanno concluso i senatori M5s – servono a ricordare al governo che le strade da percorrere sono tante, se c’è la volontà. Quello che non possiamo accettare è che si faccia ancora credere ai cittadini che estraendo più gas sul nostro territorio sia la soluzione a tutti i guai. Questo è inaccettabile“.
I RICORSI DEI TERRITORI | ABRUZZO
“Ci stiamo ‘armando’ contro il Pitesai. Continuiamo con la resistenza”. Parola di Marco Cappellacci, assessore all’Ambiente del Comune di Martinsicuro (Teramo), tra le aree, individuate dal ministero della Transizione ecologica, nelle quali sarà possibile estrarre ed effettuare ricerca di idrocarburi. “Qui – spiega l’assessore – il ministro Cingolani ha già dato l’autorizzazione per la realizzazione di un nuovo pozzo estrattivo, al limite delle dodici miglia marine, al confine tra Martinsicuro e San Benedetto del Tronto, di fronte alla foce del fiume Tronto. Un provvedimento che, tra l’altro, è stato adottato in violazione alle norme che richiedono l’acquisizione del parere delle Regioni interessate. Il Ministero – ha continuato Cappellacci – ha chiesto il parere alle Marche ma non all’Abruzzo. Contro di esso, insieme con i Comuni di Alba Adriatica, Pineto, Tortoreto e la Provincia di Teramo, abbiamo presentato ricorso straordinario al presidente della Repubblica. Adesso, tutti insieme, ricorreremo anche contro il Pitesai, coinvolgendo le associazioni ambientaliste, perché sono previste trivellazioni in mare e in terraferma”. “Stiamo già combattendo da tempo contro le trivelle, che sono incompatibili con lo sviluppo turistico e la tutela ambientale. Non siamo contro a prescindere, ma il territorio va tutelato” ha rimarcato il sindaco di Martinsicuro, Massimo Vagnoni.
BASILICATA
Nel Pitesai appena rilasciato dal Ministero della transizione ecologica, la Basilicata è in buona parte in ‘verde’ perché ampie zone del territorio lucano sono indicate come aree idonee sia per la ricerca sia per la coltivazione di idrocarburi. La Basilicata è già oggi la Regione che offre un rilevante contributo al fabbisogno nazionale del greggio con le attività estrattive nei due importanti giacimenti ‘on-shore’, su terraferma, in provincia di Potenza. Anche la costa jonica, con il golfo di Taranto, è interessata da richieste di prospezione dei fondali nelle acque antistanti il litorale lucano e soprattutto quello calabrese e proprio su questo punto i sindaci dell’area interregionale già negli anni scorsi hanno ribadito la propria contrarietà. “Questo piano suscita perplessità, so bene che la crisi energetica va considerata ma non è questa la direzione da percorrere” ha detto Enrico Mascia, sindaco di Policoro, il principale Comune della costa jonica lucana. “Lo abbiamo già detto in varie circostanze – ha aggiunto – questa è un’area con una vocazione turistica e agricole, due attività che si completano l’una con l’altra. Non è esaltante l’idea che possano esserci trivellazioni perché certamente costituirebbero un elemento di disturbo. La direzione su cui puntare, a mio avviso, è quello delle energie alternative, certamente con l’idea chiara che non possiamo azzerare le attività estrattive ma perlomeno minimizzarle o ridurne l’impatto”. Proprio a Policoro nel 2012 amministratori regionali di Basilicata, Calabria e Puglia e sindaci firmarono un protocollo d’intesa per esprimere la proprie netta contrarietà alle prospezioni per la ricerca di giacimenti di idrocarburi nel golfo di Taranto. Il cosiddetto “Protocollo di Herackleia” venne siglato con l’obiettivo di “concordare ed attuare interventi ed azioni necessarie a scongiurare qualsiasi attività di ricerca e di estrazione di idrocarburi liquidi o gassosi nel mar Jonio e sulle aree dell’entroterra, nello specifico, si oppongono fornendo parere contrario alle undici istanze presentate da sei compagnie petrolifere e a tutte le altre richieste che in futuro tenteranno di essere approvate”.
MOLISE
Dura la reazione dei comitati ambientalisti del Molise, regione che fa parte delle zone idonee alle estrazioni in mare secondo il nuovo piano del Governo che potrebbe sbloccare oltre 50 permessi di ricerca di idrocarburi già presentati, per una superficie di 12mila chilometri quadrati tra Abruzzo, Basilicata, Calabria Campania, Emilia-Romagna, Lombardia, Molise e Puglia. Trivelle Zero Molise, Discoli del Sinarca e Rete della sinistra Termoli, che aderiscono alle attività della rete associativa che sostiene la campagna per il clima fuori dal fossile, hanno firmato il primo manifesto contro il provvedimento in Molise: “Nonostante molti esperti abbiano detto che ci vorrebbero almeno 10 anni per ottenere un aumento significativo della produzione di gas in Italia, il Ministro tira dritto e autorizza trivellazioni a gogò lungo tutto l’Adriatico, comprese le coste molisane, includendo zone a grande rischio ambientale come il canale di Sicilia e le coste sarde. Il Ministero della Finzione Ecologica – dichiarano i portavoce delle associazioni – ha ormai buttato via anche l’ultima parvenza di decenza, e svela il suo vero volto di sponsor delle multinazionali estrattive e distruttive”.