Una famiglia leggiadra, meravigliosamente caotica, rumorosa come la vita. E che combatte quotidianamente contro i soprusi di padroni e sistemi che vogliono sradicare l’agricoltura dalla sua essenza primigenia. Così avviene nel villaggio catalano di Alcarràs, così avviene nell’omonimo film corale di Carla Simón, vincitore dell’Orso d’oro della 72ma Berlinale. Opera seconda di una regista coraggiosa e vitale, il film è anche co-prodotto dall’Italia grazie a Giovanni Pompili. E sulla scia di Cannes e Venezia, la regia al femminile continua a ricevere il giusto riconoscimento dopo annate “a secco”.
La grande Claire Denis si porta a casa per il suo triangolo amoroso Avec amour et acharmement (e la coppia suprema di attori Juliette Binoche–Vincent Lindon) l’Orso d’argento per la miglior regia mentre la più giovane collega messicana Natalia Lòpez Gallardo il Premio della Giuria con il complesso e oscuro Robe of Gems, intessuto sulla criminalità locale di un territorio difficile come la provincia del Messico. Va invece a uno degli indiscussi maestri di poesia cinematografica come Hong Sangsoo l’Orso d’argento – Gran premio della Giuria per il suo The Novelist’s Film, che in un bianco e nero eterno riesce a domare personaggi, spazio e tempo.
Aboliti i premi “di genere” per attrici e attori, gli Orsi alle migliori performance sono andati alla straordinaria turca/tedesca Meltem Kaptan, mamma courage del dramma ispirato a una storia vera Rabiye Kurnaz Vs George W. Bush di Andreas Dresen (premiato anche con Orso d’argento per la Miglior sceneggiatura) e alla non protagonista Laura Basuki per il film Nana dell’indonesiana Kamila Andini. Sempre nel Sudest asiatico è finito l’Orso d’argento al miglior contributo artistico attribuito a Everything Will Be OK del regista-artista cambogiano Rithy Panh.
L’Italia comunque non esce a mani vuote: Leonora addio si è aggiudicato il premio FIPRESCI (il riconoscimento della critica internazionale) con una motivazione che evidenzia la freschezza dello sguardo di Paolo Taviani capace, sotto la guida del genio di Pirandello, di mescolare “poesia, malinconia, ma anche ironia, fantasia e letizia per raccontarci i misteri della vita, della morte e della memoria”.
Si abbassa dunque il sipario sulla più difficile delle Berlinali contemporanee dal punto di vista organizzativo e gestionale. Significative le parole del direttore artistico italiano Carlo Chatrian: “Un’edizione così era una scommessa. Gli ultimi mesi sono stati molto stressanti ma importanti. Un festival è un lavoro collettivo il cui punto di arrivo è il pubblico e averlo avuto qui è il massimo premio per noi”.