È un periodo storico di grandi incertezze per la politica e il mondo dell’auto, entrambi alle prese con una transizione energetica ancora tutta da definire e con l’affrettato pensionamento dei motori bielle e pistoni che, tanto più se elettrificati, sono “puliti” come mai prima d’ora. Fra la riconversione dell’industria e relativa filiera, l’adeguamento delle infrastrutture, l’approvvigionamento delle materie prime e la fabbricazione di accumulatori – il 70% è di provenienza asiatica –, la questione mobilità elettrica è più complessa che mai, specie a fronte di un mercato che stenta a decollare (e che fino a oggi è stato sostenuto esclusivamente da denari pubblici) e di un prezzo delle vetture a batteria che le rende un lusso per pochi.
In questo quadro fumoso, quindi, non stupisce che l’Europa non riesca a trovare una quadra nemmeno per quanto riguarda la definizione delle venture norme Euro 7, che dovrebbero entrare in vigore nel 2025: la Commissione Europea, infatti, ha deciso di posticipare a luglio la presentazione della sua proposta definitiva in merito. In ballo, non a caso, c’è il futuro dei motori termici – che potrebbero diventare troppo costosi da adeguare ai nuovi standard – nonché il conseguente impatto industriale (e sociale) che ne potrebbe scaturire.
E, fra interessi nazionali e pressing dell’industria automotive, in Europa si fatica a definire uno standard comune. Lo stesso che, però, sarebbe fondamentale per indirizzare gli investimenti e i programmi di ricerca e sviluppo dei costruttori. Certo è che sulle decisioni della politica europea stanno pesando sia gli esiti, poco lusinghieri, della Cop26, sia il pressing dei principali costruttori continentali (e non), che da tempo denunciano i rischi di una transizione troppo frettolosa, come pure le pressioni di chi propone un approccio olistico e tecnologicamente neutro – che includa anche idrogeno ed e-fuels – al tema della decarbonizzazione della mobilità. Sullo sfondo, poi, c’è un timore quanto mai fondato: che la rincorsa al full-electric caldeggiata dalla politica europea, oltre che rivelarsi difficilmente realizzabile dal punto di vista tecnico, lasci sul campo parecchie vittime, a cominciare dai lavoratori.
Sulla questione Euro 7 si era espresso anche il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani: “In questo momento l’Europa vuole anche l’Euro 7, uno standard che alle aziende automobilistiche costa moltissimo e come investimento rischia di sovrapporsi a quello per l’auto elettrica”. Quest’ultima – per un discorso di emissioni medie di gamma – è diventata peraltro irrinunciabile per rispettare i limiti sulle emissioni di anidride carbonica. Una stortura giustificata dal fatto che il legislatore tiene conto solo delle emissioni allo scarico (zero per le EV) e non di quelle generate nell’intero ciclo vita del prodotto.
Ospite della rubrica di Milena Gabanelli sul sito del Corriere della Sera, Cingolani è tornato anche a parlare del presunto addio ai motori termici, che l’Europa vorrebbe datare al 2035: “Noi dovevamo dare una posizione orientativa di massima dell’Italia perché nel documento che uscirà a metà 2022 sul pacchetto Fit for 55, tra le varie cose da discutere a livello nazionale ed europeo ci sarà anche la data presunta del phase-out” dei propulsori tradizionali e uno stop alla vendita delle vetture che ne sono dotate.
“L’Italia ha dato la sua posizione più prudente come tutti i Paesi costruttori. Il 2035 per le auto e 2040 per i furgoni. Altri Paesi che non producono auto hanno addirittura parlato del 2030. Il 2035, però, non è una data che segna qualcosa, è solo la base su cui iniziare la discussione parlamentare europea”. Anzi, ha ribadito il Ministro, “abbiamo scritto all’Europa per dire che prima del 2035 non se ne parla nemmeno e dobbiamo ricordarci che dobbiamo anche valorizzare i biocarburanti perché è assurdo avere un carburante che mi consente di decarbonizzare e si debba fare il doppio salto mortale per andare sull’elettrico”.
Il ministro ha, inoltre, sottolineato la necessità di mettere ben a fuoco le questioni che orbitano attorno all’auto elettrica: “Una riguarda lo smaltimento delle batterie: ammesso e non concesso che si faccia tutto quello che si è detto finora per la realizzazione di decine di gigafactory, noi dobbiamo pensare oggi a quanto fare tra 20 anni per smaltire gli accumulatori. In secondo luogo, abbiamo bisogno di una rete di distribuzione elettrica intelligente. Quindi, non dobbiamo perdere tempo: oltre alle infrastrutture dobbiamo lavorare sulla trasformazione della rete elettrica in rete smart”. E in ballo c’è anche un “un problema di sensibilità: bisogna capire che l’auto elettrica non è comprare una Tesla, attaccarla ad una presa e finisce tutto qua. L’auto elettrica richiede una trasformazione epocale”.
Parole a cui hanno fatto l’eco quelle del ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, intervistato dal Corriere della Sera: “Va abbattuta la CO2, sì. Ma manca una valutazione industriale, sulla sovranità tecnologica e l’autonomia strategica dell’Europa. In tutta questa febbre per l’auto elettrica, chi fornisce le materie prime è la Cina. È lì il controllo di gran parte del litio, cobalto, silicio. Significa mettere il primo settore manifatturiero d’Europa in mano ad altri, lontano da noi. Possibile che nessuno ci pensi? Siamo per il principio di emissioni zero, ma sulla base della neutralità tecnologica. L’idrogeno può diventare competitivo. E in Italia abbiamo brevetti fra i più avanzati nei biocarburanti. Perché non viene riconosciuto? E anche l’auto ibrida, che ora non piace, può avere un ruolo. Soprattutto in assenza di una rete adeguata di colonnine di ricarica. Con questa furia per l’elettrico ideologica, etica, rischiamo l’autogol”.
E c’è pure chi invece vorrebbe premere sull’acceleratore della mobilità elettrica, come i deputati del Movimento 5 Stelle Giuseppe Chiazzese e Luca Sut, che in una nota congiunta hanno sottolineato che “In un momento decisivo per la trasformazione del sistema automotive verso l’elettrificazione e per il sostegno alla filiera, dobbiamo velocizzare la sostituzione dei veicoli inquinanti con auto a zero emissioni”, ribadendo la necessità di “un piano articolato per sostenere la conversione della filiera. Gli incentivi, come abbiamo spiegato con diversi interventi in Parlamento, sono un tassello di una strategia più ampia. Bisogna rafforzare la competitività e stimolare l’occupazione anche con investimenti nel riciclo delle batterie”.