Il 35% dei Btp italiani sono oggi in mano alla Banca centrale europea (per lo più tramite Banca d'Italia), il venir meno del compratore che per anni ha quasi monopolizzato il mercato può provocare scossoni. Nell'ultimo mese il rendimento del Btp decennale è salito di di 133 punti base (1,3%) mentre gli interessi del bund tedesco sono cresciuti meno della metà
Un po’ alla volta il cerchio attorno al debito italiano si sta stringendo. Nelle ultime 24 ore si sono susseguite tre dichiarazioni di membri del consiglio direttivo della Banca centrale europea a sostegno di una stretta monetaria. La Bce “molto probabilmente” alzerà i tassi d’interesse nel 2022 per fronteggiare la fiammata senza precedenti dell’inflazione, anche se dovrà farlo senza agitare troppo le acque”, ha detto questo pomeriggio Martins Kazaks, membro del Consiglio direttivo e Governatore della banca centrale di Lettonia. “Dipenderà dai dati – ha detto Kazacs – “vedremo, ma è molto probabile che accada quest’anno”. Ieri il più influente governatore della banca centrale francese Francois Villeroy de Galhau ha prospettato la possibilità che gli acquisti di titoli da parte della Bce termin nel terzo trimestre di quest’anno.
I rendimenti dei Btp decennali si sono affacciati sopra la soglia del 2% per la prima volta dal 2020 (il rendimento sale quando il prezzo scende perché le vendite superano gli acquisti). Isabel Schnabel, membro tedesco del comitato esecutivo Bce in un’intervista al Financial Times ha affermato che “Il rischio di agire troppo tardi è aumentato” e “quindi abbiamo bisogno di un’attenta rivalutazione delle prospettive di inflazione (…) È diventato sempre più probabile che l’inflazione si stabilizzi attorno al nostro obiettivo del 2% a medio termine” e “questo significa che dovremmo iniziare a pensare a una graduale normalizzazione della nostra politica”. Le posizioni tedesche sono note da tempo, più rilevante il fatto che a ipotizzare una tempistica per la stretta sia Villeroy De Galhau, non certo annoverato tra i “falchi”, e portavoce di un paese come la Francia che a sua volta ha un debito elevato, seppur non ai livelli italiani.
Durante la pandemia alle politiche monetarie espansive della Banca centrale europea si sono sommati gli interventi governativi di stimolo all’economia, prima assenti, con l’effetto di spingere crescita e, in una qualche misura, anche l’inflazione dell’intera zona euro. Sebbene la corsa dei prezzi sia determinata in primo luogo dai rincari dei beni energetici, per la Bce sarebbe forse giunto il momento di iniziare a tirare i remi in barca e smettere di pompare denaro nel sistema economico concentrandosi sul contrasto all’inflazione. Non è un mistero che uno dei principali intralci in questo delicato disimpegno sia la gestione del debito italiano.
Il 35% dei Btp italiani sono oggi in mano alla Banca centrale europea (per lo più tramite Banca d’Italia), il venir meno del compratore che per anni ha quasi monopolizzato il mercato può provocare scossoni. Nell’ultimo mese il rendimento del Btp decennale è salito di di 133 punti base (1,3%) mentre gli interessi del bund tedesco sono cresciuti meno della metà. Così lo spread (il differenziale dei due rendimenti) si è ampliato da 131 a 163 punti. Nella riunione della Bce in programma il prossimo 10 marzo verranno probabilmente alzate le stime sull’inflazione dei prossimi due anni, presupposto per avviare la riduzione degli acquisti di titoli e un incremento dei tassi di interesse. Forse proprio in vista della stretta la Banca centrale europea starebbe lavorando ad un piano per continuare ad accettare i titoli di Stato greci (altro paese particolarmente fragile sul fronte debito) a garanzia dei finanziamenti alle banche per tutta la durata del periodo in cui è previsto il reinvestimento dei titoli comprati attraverso il programma per l’emergenza pandemica, quindi fino a tutto il 2024.