Il “mariuolo” Mario Chiesa. Il pubblico ministero “che c’azzecca” Antonio Di Pietro. La madre di tutte le tangenti legata ad uno dei più grandi gruppi industriali italiani, la Enimont. Le monetine lanciate contro Bettino Craxi fuori dall’hotel Raphael. Istantanee di una manciata di mesi che fu l’epoca di Tangentopoli e che ora sono diventati “Mani Pulite”. Un podcast in 10 puntate realizzato e narrato da Mia Ceran, con la collaborazione di Francesco Oggiano e Davide Piacenza, prodotto da Will Media per Audible. E proprio il 17 gennaio del 1992 avvenne l’arresto in flagranza di reato di Chiesa che diede il via alla decisiva inchiesta giudiziaria del pool milanese. “Sono passati davvero trent’anni? Così tanti? Io non li ho sentiti”, spiega la Ceran a FQMagazine. “È un’epoca che torna sempre, ciclicamente. È un momento che ha spaccato il paese e che non si è mai ricucito, che ha diviso gli italiani tra colpevolisti e garantisti. È passato tanto tempo da allora ma non l’abbiamo ancora metabolizzato. Per questo ho voluto scandagliarlo con un podcast, strumento che amo, e che, lo dico da fruitore, per un attimo ci libera dalla schermo dei devici che ci circondano. Puoi ascoltarlo quando vuoi: sul metrò, in auto, guardando fuori dalla finestra. È una fruizione senza lo stimolo visivo e Mani Pulite è una storia che va ascoltata riflettendo, ponendosi domande”.
Torniamo a questo manicheismo che in trent’anni non ci siamo mai tolti di dosso…
Per questo podcast ho studiato molto su diversi testi e fonti, a partire dal lavoro più importante Mani Pulite – La vera storia di Barbacetto, Gomez e Travaglio fino a 1993 di Mattia Feltri che fa una riflessione opposta. Mentre studi la vicenda è molto difficile non porsi domande. Tutto questo manicheismo dei buoni e cattivi, come se ci fosse cesura netta, precisa. Anche se nella vita vorremmo avere degli eroi o sapere chi è cattivo nella serie che stiamo guardano nulla è mai così definito, Mani Pulite è una terra di chiaroscuri. Certo c’è chi ha più colpe e chi meno, ma dietro a chi rubava poteva anche esserci una tragedia umana o dietro a colui che sembrava l’eroe magari c’era un uomo che poteva essere piccolo e meschino. Siamo troppo condizionati dal manicheismo facile dell’era dei social. A emettere un giudizio personale ci mettiamo pochissimo, ma la storia ci mette di più”.
La puntata numero 8 è fatalmente intitolata: “E la sinistra?” Dopo 30 anni possiamo dire anche i compagni rubavano o che rubavano un po’ meno?
“In generale, come percezione collettiva Mani Pulite travolse principalmente i socialisti di area craxiana e quando diamo giudizi ci rivolgiamo a quell’area. In questa puntata che citi puntiamo i riflettori anche su un’altra area, ma agli atti della storia questo non è rimasto. L’importante per noi era comunque inserirlo. Io sono comunque convinta, e sarò ingenua, che la storia di Mani Pulite vada oltre la divisione destra e sinistra. È una storia profondamente umana che riguarda il malcostume apartitico. Un modo di intendere la politica come strumento, come metodo per arricchirsi e gestire il potere che non ha niente a che vedere con l’ideologia. È il momento del disinganno: si perde l’innocenza e ci fa pensare che la buona politica ha forse un’appartenenza ideologica, ma che il malcostume è trasversale”.
Altro parallelo diacronico: dopo trent’anni è cambiato qualcosa in questo “malcostume trasversale”?
“Sono convinta che la situazione sia molto migliorata rispetto all’epoca di Mani Pulite. Chi deve farla sporca ci pensa non due, ma cinque volte in più. Si deve ingegnare molto di più, cerca di essere meno sfrontato. E poi a livello gerarchico prima di una tangente ci sono più check-point. Credo che oggi sia più facile incontrare qualcuno che dice: guarda che non è il caso, non si usa così. I meccanismi raccontati in questo poadcast sono stati, nel bene o nel male, superati. Il paese oggi è migliore, anche se non sono convinta che la politica sia migliore.
C’è un dettaglio che in questa ricerca storico-giornalistica ti ha colpito o sorpreso?
Tantissimi ed incredibili. Ne cito due. Il meccanismo delle assegnazioni dei primari delle strutture della Lombardia con un sorteggio come al Bingo, le palline in una ruota, e per indicare candidato prescelto in anticipo a pallina con quel nome veniva messa prima in freezer in modo che la mano che pescava potesse riconoscerla ed estrarla. Secondo: il video della discesa in campo di Silvio Berlusconi visto milioni di volte. È stato girato nella villa di Macherio in costruzione. Mentre lui recitava L’Italia è il paese che amo… in piedi c’era solo la parete dietro di lui e ai lati le finestre con il nylon appiccicato e i calcinacci. Un altro dettaglio che mi ha impressionato e che non è affatto divertente è la storia di Raoul Gardini: mi ha colpito la hybris di questo personaggio da tragedia greca”.
Oggi si criticano molto le reticenze nel lavoro del mondo dell’informazione, ma all’epoca non andò malaccio. Ad esempio Emilio Fede e Paolo Brosio fecero un gran lavoro, almeno fino alla discesa in campo di Berlusconi…
“Non ho mai amato giudizio collettivi su intere categorie o anche all’interno delle singole testate. Oltretutto i social hanno reso la professione di giornalista, in alcuni casi e non pochissimi, come star. Io comunque rivaluto la singola firma, l’operato del singolo all’interno di un contesto. Magari qualche ragazzino oggi se gli dici il nome di Brosio, dice che un concorrente di un reality, ma nel nostro podcast abbiamo cercato di rendergli onore. Fece un gran lavoro all’epoca, sempre davanti al tribunale mattina e sera, con il sole o la pioggia. Andava a rovistare nella pattumiera del tribunale per pescare le carte dei pm gettate via. E Fede che lo pungolava”.
Sei un’appassionata da tempo della forma podcast. Negli Stati Uniti un podcast come quello di Joe Rogen è il più seguito su Spotify con decine di milioni di ascoltatori. Là, insomma, è una realtà già digerita, in Italia, se non fosse per Veleno di Pablo Trincia, si fa ancora fatica…
“Hai citato un caso, ultimamente controverso, però di indiscutibile talento, quello di Rogen. Poi le puntate incriminate andrebbero ascoltate tutte in lingua originale per capire che le sue produzioni sono da sempre provocatorie. Continuo a pensare che il tema vaccini sia delicatissimo, però vista la trasposizione che è stata fatta da molte testate più come nel renderlo no-vax, devo dire che è stato dato un giudizio sommario e incompleto. Detto ciò non voglio assolvere nessuno perché la responsabilità nel momento in cui ti ascoltano milioni di persone è tanta e le parole vanno soppesate. L’America comunque è avanti rispetto all’Italia di 3, 4 anni , proprio come breccia nella popolazione sul mondo podcast. Hanno scoperto una platea enorme e trovato un business model. A livello produttivo è semplice da realizzare e quindi ne vengono prodotti tanti. Prima citavi Trincia per l’Italia che è bravissimo, anche se lui si è cimentato con un podcast con aspetto seriale: storie raccontate per una fruizione che somiglia alla nostra serie preferita davanti a Netflix. Un’altra partita, dove mi cimento io, è quella di creare un abitudine all’ascolto, più vicina alla forma della radio però on demand. Ad esempio con The Essential in cinque minuti ti segnalo cosa devi sapere per districarti tra le notizie della giornata; poi con l’altro podcast Grano offro contenuti più da conversazione per quando si è a tavola con i propri amici”.
Chiudiamo sulla puntata dieci del podcast Mani Pulite: Che fine hanno fatto? Ovvero cosa fanno oggi i protagonisti di Tangentopoli.
“Beh, segnalo un nome su tutti: Duilio Poggiolini ve lo ricordate? Salì agli onori delle cronache per il puff con i lingotti d’oro. Oggi è stato abbandonato in un ospizio vicino Roma”.