Apprezzata la disponibilità sulla revisione dei coefficienti di trasformazione e sulla possibilità di eliminare il requisito di avere un assegno pari ad almeno 2,8 e 1,5 volte quello sociale per chi raggiunge rispettivamente 64 e 67 anni e vuole uscire dal lavoro. Dunque a 64 anni si potrebbe chiedere la pensione a patto di raggiungere un certo importo, che verrebbe ridotto rispetto ai circa 1300 euro richiesti oggi
Per rendere più flessibile l’accesso alla pensione bisogna ragionare sul ricalcolo contributivo dell’assegno. E’ la proposta fatta ai sindacati dal governo nell’incontro tecnico sulla flessibilità in uscita di martedì. I rappresentanti dei lavoratori l’hanno respinta al mittente, ma hanno apprezzato la disponibilità sulla revisione dei coefficienti di trasformazione e sulla possibilità di eliminare il requisito di avere un assegno pari ad almeno 2,8 e 1,5 volte quello sociale per chi raggiunge rispettivamente 64 e 67 anni e vuole uscire dal lavoro. Oltre alla possibilità di tutele ulteriori per i lavoratori disoccupati, gravosi e invalidi. Intanto il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, rilancia la sua proposta di pensione in due tranche: la parte contributiva al momento dell’anticipo e la pensione totale, comprensiva della parte retributiva, al momento del raggiungimento dell’età di vecchiaia. A fare il punto sulla trattativa, e a misurare le distanze su un intervento condiviso con cui ridisegnare il sistema previdenziale dopo la fine di quota 100 sarà un vertice politico tra il ministro del lavoro Andrea Orlando e i leader di Cgil, Cisl e Uil.
Per il segretario confederale della Cgil, Roberto Ghiselli, il ricalcolo contributivo come avviene per Opzione donna è inaccettabile perché “si perde fino al 30% dell’assegno“. D’accordo la Uil, che rifiuta questa “ulteriore penalizzazione“. Bene però il fatto che sulla flessibilità il governo abbia dichiarato “di essere intenzionato a dare delle risposte”, ha detto Ghiselli. “È stata condivisa la necessità di un superamento delle rigidità attuali presenti nel sistema, in particolare quella legata ai 67 anni, anche se per il governo su questo l’unica strada individuata è quella delineata dal sistema contributivo, rispetto alla quale rimane ferma la contrarietà del sindacato”. E’ arrivata poi “generica disponibilità” sui “temi dei coefficienti di trasformazione e quello dell’eliminazione della soglia del 2,8 e 1,5 volte l’assegno sociale per coloro che raggiungono rispettivamente 64 e 67 anni”. Dunque a 64 anni si potrebbe uscire a patto di raggiungere una pensione di un certo importo, che verrebbe ridotto rispetto ai circa 1300 euro richiesti oggi.
Si ipotizza poi “una tutela ulteriore per le categorie più deboli come disoccupati, gravosi, invalidi e coloro che assistono un familiare con handicap, punto su cui il governo si è impegnato ad effettuare delle verifiche tecniche. Al contrario nessuna apertura è stata fatta rispetto alla nostra richiesta relativa alla riduzione dell’accesso a 41 anni per la pensione anticipata”.
Anche la Cisl apprezza la disponibilità del governo ma si oppone al ricalcolo. “Lo scambio non può essere quello del ricalcolo contributivo. Se c’è una traiettoria comune bisogna vedere come ci si arriva”, spiega il segretario confederale, Ignazio Ganga. E anche per il segretario confederale Uil, Domenico Proietti, è “significativo” che il Governo abbia riconosciuto la necessità di introdurre una maggiore flessibilità nell’età di accesso alla pensione ma è “sbagliata l’idea di legare questa flessibilità al ricalcolo contributivo che si tradurrebbe in un ulteriore penalizzazione per i lavoratori”.