La frattura è ormai evidente. Perché da molto tempo base e vertice immaginano soluzioni diverse allo stesso problema. Il calcio ha bisogno di continue iniezioni di capitali freschi. Pena il proprio ridimensionamento. Soprattutto dopo che il Covid ha bruciato miliardi di euro di possibili introiti. Da anni calciatori e allenatori chiedono di giocare meno partite. I primi temono che la moltiplicazione degli incontri possa portare all’aumento degli infortuni e, di conseguenza, all’accorciamento delle loro carriere. I secondi vorrebbero avere più tempo per travasare le proprie idee nello spogliatoio, vista anche la poco proverbiale pazienza da parte dei loro presidenti. Uefa e Fifa hanno ascoltato queste richieste, le hanno soppesate, poi hanno comunicato la propria risposta: si dovranno giocare più partite, si dovranno spartire più soldi.
Il primo passo è avvenuto questa estate con l’avvio della Conference League, la terza coppa continentale per club, un trofeo senza un’identità chiara ma dall’obiettivo preciso: essere il più inclusivo possibile, raccogliendo squadre che altrimenti non avrebbero mai potuto giocare in Europa. Il futuro prossimo, però, potrebbe essere ancora più inquietante. Perché da mesi Gianni Infantino sta ripetendo la sua ricetta miracolosa: disputare Mondiali ed Europei una volta ogni due anni. Vorrebbe dire un grande campionato internazionale ogni estate. Fino allo sfinimento. Fino alla perdita di qualsiasi interesse. Perché Italia-Germania può essere un grande evento solo se non si trasforma in un appuntamento fisso, soltanto se non viene annacquato dalla ripetitività.
“La questione non è se vogliamo un Mondiale ogni due anni, ma cosa vogliamo fare per il futuro del calcio, che osserviamo sta dirigendosi verso un futuro in cui pochi hanno tutto e la stragrande maggioranza nulla”, ha detto Infantino. Tutto giusto. Se non fosse per un dettaglio: difficilmente un business capace di produrre quattro miliardi di euro può essere fatto passare per solidarietà internazionale. “Se pensiamo al resto del mondo che non vede i migliori giocatori, che non partecipa alle migliori competizioni, allora dobbiamo pensare al fatto che il calcio non è solo uno sport perché contribuisce a portare opportunità per le squadre e i Paesi, speranza e gioia – ha spiegato Infantino – Non possiamo dire al resto del mondo dateci i soldi, e se avete un buon giocatore, dateci anche quello, ma guardateci in tv“.
In attesa di capire se l’ipotesi diventerà realtà, la Fifpro, il sindacato internazionale del calciatori, ha pubblicato uno studio contenente un messaggio piuttosto chiaro. Perché il 75% dei giocatori professionisti sarebbe contrario all’idea di giocare un Mondiale ogni due anni. O almeno questo dice il campione di mille atleti intervistati, appartenenti a 70 diverse nazionalità e divisi su sei continenti. Nello specifico, il 77% dei calciatori europei e asiatici e il 63% di quelli delle Americhe ha affermato di voler mantenere la calendarizzazione della Coppa del Mondo ogni quattro anni. Una tendenza che viene invertita solo in Africa, dove solo il 49% dei calciatori vorrebbe mantenere l’attuale frequenza dei Mondiali.
A completare il dato ci pensa anche un altro numero. L’81% del campione, infatti, ha affermato di considerare come propria competizione preferita il proprio campionato nazionale o la Coppa del Mondo nel suo attuale ciclo quadriennale. Sulla questione si è espresso anche Jonas Baer-Hoffmann, il segretario generale di Fifpro: “Il sondaggio dimostra che la maggior parte dei calciatori in tutto il mondo ha una chiara preferenza per disputare i Mondiali ogni quattro anni. Ma allo stesso tempo, i risultati dimostrano l’importanza delle competizioni dei campionati nazionali per i giocatori. Questi campionati sono le fondamenta del nostro gioco e dobbiamo fare di più per rafforzarli sia per il bene dei giocatori che per la stabilità generale del calcio professionistico”. Ma non finisce qui. Perché Baer-Hoffmann ha sottolineato anche un altro dato: solo il 21% degli intervistati “crede che la voce dei giocatori sia rispettata e che il loro benessere sia adeguatamente considerato nel contesto della governance del calcio internazionale”. Le posizione sono chiare e antitetiche. Ora bisogna solo vedere la Fifa avrà il coraggio di imporre le proprie idee ai suoi giocatori. Ma anche ai tifosi.