Il senso del discorso è stato duro dopo i 4 voti contrari: il governo è qui per fare le cose o non si va avanti. Il presidente del Consiglio ha spiegato che "il governo è qui per fare le cose". Prima del faccia a faccia con i capidelegazione a Palazzo Chigi, l'incontro con Mattarella al Quirinale. Di fronte alla richiesta di maggiore coinvolgimento sui dossier, la controrisposta: avvenuto con la Manovra, ma comunque sono arrivate critiche
Una richiesta di spiegazioni dopo i quattro ko in commissione Bilancio su altrettanti emendamenti al Milleproroghe – ad iniziare dal tetto al contante fino all’ex Ilva – che diventa una “strigliata” ai partiti, con tanto di risposta dei capidelegazione, il suggerimento a cambiare “metodo” e la replica di Mario Draghi, definito molto irritato dai presenti. Con una sorta di avvertimento: “Il governo è nato per fare le cose, è stato voluto dal presidente Mattarella con questo obiettivo”. In altri termini: siamo qui per fare le cose o non si va avanti, il senso del ragionamento. E quindi i decreti licenziati dal Consiglio dei ministri non possono poi vivere di distinguo e affossamenti quando approdano in Parlamento.
Le frizioni interne – Un richiamo all’unità delle forze politiche affinché non affossino i provvedimenti quando arrivano in Aula. Con la risposta che non si è fatta attendere, condita dalla richiesta di un “metodo” diverso e maggiore “coinvolgimento” sui temi caldi. Una critica alla quale il presidente del Consiglio ha controbattuto ricordando l’interlocuzione sulla Manovra, definita “ampia”, che non ha comunque frenato le critiche. Non solo, Draghi, ha scandito con chiarezza che l’obiettivo dichiarato del presidente della Repubblica, quando ha dato il via libera alla formazione del governo, era che si procedesse spediti. Mattarella che, non a caso, che il presidente del Consiglio ha incontrato al Quirinale poco prima del confronto.
Il ruolo del Colle – La linea di Mattarella è sempre stata quella di muoversi nell’ambito delle sue prerogative evitando di interferire nella dialettica tra esecutivo e Parlamento. È altrettanto vero che non si è ancora spenta l’eco delle parole pronunciate dal presidente della Repubblica esattamente due settimane fa all’inizio del suo secondo mandato, quando sottolineò la necessità che “nell’indispensabile dialogo collaborativo tra governo e Parlamento”, quest’ultimo, “particolarmente sugli atti fondamentali di governo del Paese, sia posto in condizione sempre di poterli esaminare e valutare con tempi adeguati”. Anche se è impossibile trovare conferme, stando all’Adnkronos, è ipotizzabile che in queste ore dal Colle venga attivata quell’azione di “persuasione”, che “è più efficace se non viene proclamata in pubblico”, per favorire il superamento dei contrasti e la prosecuzione di quell’attività finalizzata a “costruire l’Italia del dopo emergenza”, che chiama ciascuno a fare “fino in fondo la parte propria”.
I timori per la compattezza sui temi strategici – Il faccia a faccia tra il premier e i rappresentanti dei partiti dentro il governo si è consumato nel corso del vertice pre Consiglio dei ministri, convocato venerdì mattina sul decreto Bollette. Il timore di Draghi è che le forze di maggioranza dimostrino scarsa compattezza anche su altri provvedimenti “strategici” attesi a breve in Parlamento, a iniziare proprio dal decreto Bollette ma anche concorrenza, giustizia, appalti. Il presidente ha fatto l’esempio della delega fiscale: così non si può andare avanti, questo governo non esiste per stare al potere, non faccio buon viso a cattivo gioco – ha detto – sto qui per fare cose e per idealismo. La questione è politica, ha aggiunto, e se non si riprende un percorso fattivo orientato ad ottenere i risultati, questa questione politica diventa un problema.
Le ‘geometrie variabili’ – Ma da parte dei capidelegazione, viene riferito, è stato “suggerito” al capo dell’Esecutivo un “cambio di metodo”, con un maggiore coinvolgimento sui dossier. Critica che non ha lasciato indifferente Draghi, pronto a ricordare “l’ampio coinvolgimento” sulla legge di Bilancio che non ha comunque evitato le critiche. Uno scambio vivace, nato dal richiamo che non aveva indiziati singoli. Perché le quattro occasioni in cui il governo è stato battuto in commissione Bilancio e Affari Costituzionali sono maturate con voti ‘a geometrie variabili’. Da qui la richiesta di garanzie sull’unità della maggioranza quando si va in Aula.
Come hanno votato – Sul tetto del contante lo strappo è nato sull’asse Forza Italia-Fratelli d’Italia con la sponda della Lega e Matteo Salvini a rivendicare l’innalzamento da 1.000 a 2.000 euro del massimale. Sul mezzo miliardo spostato dalle bonifiche per l’ex Ilva alla ‘cassa’ di Acciaierie d’Italia e ritornato alle bonifiche, invece, si è compattata l’ex maggioranza con Pd, M5s e Italia Viva impegnate nel cambiarne la destinazione. E in giornata non sono mancate le punzecchiature, che hanno visti impegnati in particolare il leader del Carroccio e il presidente del M5s Giuseppe Conte. Così il presidente del Consiglio al rientro da Bruxelles è prima salito al Quirinale per incontrare Sergio Mattarella, quindi ha convocato i capidelegazione a Palazzo Chigi. Per quello che suona tanto come uno sprone e allo stesso tempo come un ultimatum.