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Festa nazionale del gatto, ecco perché oggi 17 febbraio si celebrano i mici

A idearla Claudia Angeletti, giornalista di “Tuttogatto” che nel 1990 lanciò un referendum fra i lettori per la scelta del giorno più adatto da destinare alla ricorrenza

di Simona Griggio

Ma credete davvero che la Festa nazionale del gatto del 17 febbraio sia nata per proposta di un esemplare della nostra specie? Se li conoscete davvero, i gatti, sapete bene che sono stati loro a imporre questa scelta ai loro “servitori” e “adoratori”. Gli umani. Come? Giorno dopo giorno. Fusa dopo fusa. Fino a sedurre la mente di Claudia Angeletti, giornalista di “Tuttogatto” che nel 1990 lancia un referendum fra i lettori per la scelta del giorno più adatto da destinare alla ricorrenza.

Ed ecco spuntare l’argomentazione più convincente: febbraio è il mese dell’Acquario, segno zodiacale che definisce spiriti liberi e anticonformisti, proprio come i gatti, ma anche perché nelle cultura popolare “mese dei gatti e delle streghe”. Il numero 17, nella tradizione italiana, è portatore di sventura, stessa fama che, in tempi passati, è stata riservata al gatto nero. Scritto in caratteri romani, XVII è anagramma di “VIXI” “sono vissuto”, e questo si legherebbe alle famose sette vite del gatto.

Salendo a bordo della nostra ideale macchina del tempo, torniamo al tempo degli egizi. Per scoprire che il gatto era sacro, che già veniva chiamato con il nome corrispondente al suo verso più frequente (mau) e che venne divinizzato con le fattezze della dea Bastet. Che, per l’appunto, era una gatta. A volte in figura intera, a volte rappresentata come una donna dal volto felino. Era la protettrice degli uomini da malattie e maledizioni. Ma più prosaicamente i suoi sudditi gatti cacciavano i topi e tenevano lontani i serpenti dalle abitazioni. Attenzione: bisognava stare molto attenti a non far infuriare Bastet, che si poteva trasformare in Sekhmet, una feroce dea leonessa. Insomma: un caratteraccio.

Il gatto è protagonista di tanti film. Cosa sarebbe stato di “Colazione da Tiffany” se Audrey Hepburn non avesse ritrovato e preso in braccio il suo micio fradicio sotto la pioggia? Sarebbe mancato un elemento simbolo di indipendenza. Che lei, con grande rispetto, chiama semplicemente “gatto”. Passiamo a Effetto Notte di Truffaut: quante volte bisogna ripetere la scena del micetto che va a bere il latte nel vassoio della colazione? I gatti fanno i protagonisti, ma quando vogliono loro. Possono persino sfilare davanti all’orchestra sinfonica mentre a dirigere è il più grande di tutti i tempi, spanciarsi sui tavoli delle riunioni politiche internazionali o sfilare sul red carpet del Festival del cinema. Se in quel momento voi meritate di vederli. Come ci sono entrati? Semplice: sono magici.

Il gatto è stato protagonista di grande parte della letteratura infantile. Ricordiamo lo Stregatto, il Gatto del Chesire, che accompagna Alice nel suo viaggio nel Paese delle Meraviglie. Appare e scompare: è magico. Ma in fondo non molto diverso dai nostri amici di casa: quante volte sembrano scomparsi e non c’è verso di capire dove si siano nascosti, per poi ricomparire all’improvviso. Quasi per magia, appunto. Il romanzo di Lewis Carrol è poi diventato, lo ricorderanno tutti, un bel film d’animazione della Disney. Ancora, è stato riproposto nel 2010 di Tim Burton. Celebre è poi il Gatto con gli Stivali. Nasce addirittura nel 1500, personaggio della letteratura popolare, per essere poi ripreso dai mastri della favola, Perrault e i fratelli Grimm. Anche lui ha avuto la sua trasposizione per il grande schermo. E che dire dei mici a tutto jazz, gli Aristogatti. Arrivano sugli schermi nel 1970 e le storie del buzzurrone dal cuore d’oro Romeo e dell’elegante Duchessa con i suoi tre cuccioli commuovono tutti.

Ma in piena epoca di sommovimenti sociali, nel 1972, fa irruzione sugli schermi Fritz the Cat. Che è un gattaccio underground nato dalla fantasia di Robert Crumb. Altro che bambini: Fritz è un gattaccio anarcoide, dal turpiloquio continuo e sempre a caccia di donne, anche prostitute. Si droga. Le sue avventure diventano uno spaccato sulla società Usa negli anni della contestazione.

Ma altri gattoni a fumetti e cartoon sono molto più pacifici. Il grasso Garfield, ad esempio, nato nel 1978. Felix, il longevo gatto nero ideato da Otto Mesmer addirittura nel 1917, per molti anni il protagonista di strisce a fumetti, cortometraggi animati del cinema muto e lungometraggi. Doraemon è addirittura un gatto robot, nel manga iniziato nel 1969 da Fujiko F. Fujio, autore dell’opera. Chi è più giovane ricorda sicuramente che nel manga Sailor Moon compaiono tre gatti fra i protagonisti: Luna, Artemis e Diana. Tutti e tre hanno la capacità di parlare e portano sulla fronte il simbolo della luna crescente. Possiamo concludere questa breve carrellata con Silvestro: protagonista dal 1945 dei Looney Tunes, passa la vita a dar la caccia senza successo al canarino Titti e al topo velocissimo Speedy Gonzales. Amatissimo dai bambini, ricorre nelle canzoni dedicate a loro. Nel 1968, allo Zecchino d’Oro, i gatti sono addirittura 44, in fila per tre col resto di due. L’anno successivo va in scena, sullo stesso palcoscenico, “Volevo un gatto nero”. E alla fine è protagonista anche di proverbi ed espressioni popolari. Non dire gatto se non l’hai nel sacco. Al buio tutti i gatti sono neri. In inglese è celebre: curiosity killed the cat. In Liguria le “parole del gatto” sono le parolacce, le espressioni volgari e scurrili.

Vogliamo chiudere con un brivido? Allora leggiamo Il gatto nero, un racconto fra i più celebri della produzione di Edgar Allan Poe, scritto nel 1843. Tutti la conoscono ma noi non spoileriamo lo stesso. Diciamo solo che è un antesignano del thriller, un storia a tinte forti che narra di un omicidio con tanto di colpo di scena finale. C’entra il gatto? Ovvio che sì.

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