La Scala non va in Egitto. Un no secco da parte dei lavoratori ha bloccato l’ipotesi di una tournée che avrebbe toccato anche il Paese del presidente Abdel Fattah al-Sisi. Un rifiuto non negoziabile. “Non andiamo – hanno spiegato i rappresentanti dei lavoratori – là dove il caso Regeni brucia ancora e quello di Zaki è ancora aperto”. Una posizione che Francesco Lattuada, delegato della Slc Cgil nell’orchestra della Scala, ha sintetizzato così: “Proprio davanti alla Scala da anni uno striscione su Palazzo Marino invita a non dimenticare la morte di Regeni. Che ne pensa il sindaco Sala? Io poi sarei contrario ad andare a suonare in qualsiasi Paese che non rispetti la democrazia”. Conclusione: “I soldi non sono sempre uguali, e la perplessità in certi casi si fa molto forte. Mica si può suonare per i Casamonica”.
La famiglia di Giulio Regeni ha subito ringraziato “ogni singolo lavoratore della Scala per questa scelta di responsabilità culturale, morale e politica”. E ha detto: “Vorremmo che tutti i rappresentanti politici italiani ed europei, gli artisti, gli imprenditori e i turisti seguissero il loro esempio lodevole”. Il ‘no’ è stato davvero deciso. E il pressing forte. Anche da parte dei parenti del dottorando italiano dell’Università di Cambridge rapito al Cairo il 25 gennaio 2016 e trovato senza vita il 3 febbraio. Torturato e ucciso, secondo la ricostruzione della procura di Roma, dal servizio segreto interno egiziano.
Dalla direzione del teatro è arrivato subito un chiarimento: la tournée non si farà per diverse ragioni. E’ stata così subito disinnescata una polemica che rischiava di diventare incandescente. E che ne ricordava una del passato: quella scoppiata nel 2019. In quell’anno l’allora sovrintendente Alexander Pereira aveva prospettato l’ingresso fra i soci, con un posto in cda, di Badr bin Abdullah bin Mohammed bin Farhan al Saud. Di chi si trattava? Del ministro della Cultura saudita. E’ una vicenda che, si dice, è pesata nella mancata conferma di Pereira alla guida della Scala
Ma com’è nato il caso-Egitto che ha determinato reazioni così forti? L’invito avrebbe sostituito la prevista tournée in Giappone. Più volte annunciata, è stata sempre rimandata per il Covid. L’alternativa sarebbe stata rappresentata da sedici spettacoli in Egitto e poi in Kuwait e a Dubai. Tra questi quattro recite della “Traviata”, un concerto con orchestra e coro nel nuovo teatro del Cairo e il balletto “Giselle”. Un pacchetto che, dicono gli informati, aveva giù anche un nome: “Operazione Iside”. Avrebbe portato in cassa, secondo le stime, dai 4 ai 5 milioni.
La vicenda ha però avuto una coda avvelenata nella mattinata di oggi. La Scala è tornata a chiarire: non è mai stata programmata e nemmeno formalizzata l’ipotesi di una tournée nella terra dei faraoni, il Consiglio di amministrazione non ha discusso di una tournée in Egitto e il sovrintendente e direttore artistico Dominique Meyer, unico che dispone delle deleghe autorizzative, non ha ricevuto i sindacati per presentare o discutere con loro di una tournée in Egitto.
Incalza lo stesso Meyer, con una dichiarazione all’Ansa: “C’è stato tanto rumore per nulla”. Chiarisce: “Non c’è stato alcuno scontro con i sindacati. Due o tre giorni fa ho saputo che c’era una sensibilità forte da parte di alcuni. Capisco la famiglia Regeni e l’attenzione dopo un disastro del genere, la cosa peggiore che possa succedere a un genitore. Ma noi abbiamo rinunciato a fare qualcosa che non volevamo fare”. Affiora un ulteriore dettaglio. Non sarebbe comunque stato possibile organizzare la tournée in Egitto perché all’inizio dell’estate l’Orchestra sarà impegnata a Milano nell’evento “La Scala in città”. Tra i sindacati c’è scompiglio. Con una stoccata a Lattuada, della Cgil, accusato da altri rappresentanti dei lavoratori di eccessivo protagonismo. Su una cosa sono tutti d’accordo, la tragedia di Regeni non può essere dimenticata. E dev’essere fatto ogni sforzo per arrivare alla verità.