Scienza

Rendere universali gli organi da trapiantare? Così particolari enzimi nell’intestino potrebbero aiutare la “trasformazione”

Un gruppo di ricercatori ha infatti individuato particolari enzimi nell’intestino in grado di tagliare gli zuccheri dagli antigeni A e B sui globuli rossi, convertendoli in cellule universali di tipo O

Rendere gli organi da trapiantare ‘universali’ cioè compatibili con tutti i gruppi sanguigni così da ridurre notevolmente le liste d’attesa. Sembra fantascienza, ma in futuro potrebbe non esserlo più. Un gruppo di ricercatori ha infatti individuato particolari enzimi nell’intestino in grado di tagliare gli zuccheri dagli antigeni A e B sui globuli rossi, convertendoli in cellule universali di tipo O. Lo studio condotto sul polmone, per il momento in fase preclinica e in attesa di sviluppi futuri, potrebbe rivoluzionare la procedura di trapianto degli organi. Secondo il Centro nazionale trapianti, solo in Italia sono ben 8.291 i pazienti iscritti nelle liste d’attesa. Il 72,5% (6.132) aspetta un rene, il 12,7% (1.076) un fegato, il 7,9% (670) un nuovo cuore. Inferiori i numeri di chi ha bisogno di un trapianto di polmone (3,8%, 320 pazienti) e pancreas (3%, 252 pazienti).

Pubblicato su Science Translational Medicine ed eseguito presso i laboratori di ricerca di chirurgia toracica Latner Thoracic Surgery Research Laboratories e dell’Ajmera Transplant Center dell’University Health Network con collaborazioni internazionali, lo studio ha dimostrato che è possibile convertire in sicurezza il gruppo sanguigno negli organi donatori destinati al trapianto. “Con l’attuale sistema di compatibilità, i tempi di attesa possono essere considerevolmente più lunghi per i pazienti che necessitano di un trapianto a seconda del loro gruppo sanguigno”, spiega il dottor Marcelo Cypel, direttore chirurgico dell’Ajmera Transplant Center e autore senior dello studio.

Tutto ha origine nel 2018, quando il biochimico della British Columbia Stephen Withers e il suo team hanno trovato un gruppo di enzimi, che è stato fondamentale per questo primo passo nella creazione di organi universali dei gruppi sanguigni. Lo studio è stato condotto presso il laboratorio di ricerca del dottor Cypel, parte dei Latner Thoracic Surgery Research Laboratories. L’esperimento ha utilizzato il sistema di perfusione polmonare Ex Vivo (EVLP) sperimentato a Toronto come piattaforma per il trattamento. Il sistema EVLP pompa i fluidi nutritivi attraverso gli organi, consentendo loro di essere riscaldati alla temperatura corporea, in modo che possano essere riparati e migliorati prima del trapianto.

I polmoni di donatori umani non idonei al trapianto da donatori di tipo A sono stati inseriti nel circuito EVLP. Un polmone è stato trattato con un gruppo di enzimi per eliminare gli antigeni dalla superficie dell’organo, mentre l’altro polmone, dello stesso donatore, è rimasto non trattato. Il team ha quindi testato ciascuno dei polmoni aggiungendo sangue di tipo O con alte concentrazioni di anticorpi anti-A al circuito, per simulare un trapianto incompatibile con ABO. I risultati hanno dimostrato che i polmoni trattati erano ben tollerati mentre quelli non trattati mostravano segni di rigetto.

I pazienti di tipo O aspettano in media il doppio del tempo per ricevere un trapianto di polmone rispetto ai pazienti di tipo A, spiega Aizhou Wang, associato scientifico presso il laboratorio del dott. Cypel e primo autore dello studio. “Questo si traduce in mortalità. I pazienti che sono di tipo O e necessitano di un trapianto di polmone hanno un rischio maggiore del 20% di morire in attesa che un organo compatibile diventi disponibile”, afferma Wang. Questo successo è reso possibile grazie ad anni di ricerche e sforzi interdisciplinari di diverse organizzazioni, tra cui University Health Network, University of Toronto, University of British Columbia e University of Alberta. Il passo successivo verso l’individuazione degli organi ‘universali’, dichiarano i ricercatori, sta lavorando a una proposta per una sperimentazione clinica entro i prossimi 12-18 mesi.

Paola Perrotta

Lo studio