“Erano anni che non mi sentivo così soddisfatto a fine giornata. Lo stress accumulato in Italia per il mio lavoro, soprattutto durante la pandemia, mi aveva quasi ucciso. Letteralmente. Ora sono rinato, non faccio più il burocrate, faccio solo la cosa che mi è sempre piaciuto fare: il medico”. Il dott. Francesco Porro ha sessant’anni, una moglie e due figli, è di origini calabresi ed oggi lavora come pediatra in una clinica a Zurigo dove si è trasferito nel settembre del 2021. Dopo trent’anni nel sistema sanitario italiano si è trovato in un letto di ospedale colpito da un ictus “che per miracolo non mi ha lasciato danni permanenti. Ero ancora in convalescenza quando ho preso contatti con un ambulatorio pediatrico qui in Svizzera, un colloquio su Zoom e mi hanno inviato il contratto”.

La sua è una storia di un “cervello in fuga” che da giovane ha fatto di tutto per tornare dalla Germania. “All’epoca tornai per una questione di sentimento, vendendo la vita dei miei genitori, emigranti, che avrebbero sempre voluto poter tornare nella loro terra”. È la fine degli anni ottanta, Francesco ha 25 anni quando si laurea a Modena, votazione 110 e lode. “Ricordo che andai all’ordine dei medici per cercare la mia prima occupazione, ma all’epoca lavoro non ce n’era a meno che non venissi raccomandato”. Così torna nella zona di Stoccarda dai genitori e trova lavoro in una clinica pediatrica associata all’Università di Tubinga, ad Esslingen. “Un semplice colloquio, qualche giorno di prova e sono stato assunto”. Ma la voglia di tornare in Italia era troppo forte. “Una caratteristica degli emigranti che vedevo in Germania – racconta – era abitare spesso vicino alla stazione. Questo senso di vicinanza fisica si trasformava in una vicinanza mentale, del poter dire ecco quando voglio prendo il treno e ritorno in Italia”.

Per il suo di rientro il dott. Porro prova la strada delle basi militari americane. “Andai a lavorare nel pronto soccorso dell’ospedale militare di Bad Cannstatt. Quello che mi colpì furono i colloqui fatti da questi militari statunitensi che mi chiesero poco su ciò che effettivamente sapessi fare, quello si sarebbe visto nel periodo di prova, mentre le domande erano su cosa pensassi del compito del medico, come vedevo il mio lavoro e così via”. Dopo tre anni riesce a farsi trasferire a Pisa, nella clinica della base di Camp Derby; poi, in un ambulatorio a Firenze, come medico di medicina generale mentre di notte faceva la guardia medica fino al 2018. Fino a che, salito in graduatoria, può accedere alla convenzione come medico di base. “Avevo avuto finalmente la convenzione per medicina generale. Pensavo di avere raggiunto la tranquillità un lavoro stabile e una vita regolare”.

Porro, però, si scontra in prima persona con il sistema sanitario nazionale: “Oggi com’è impostato, con 1500 pazienti non vivi più. Con le AFT (Aggregazione Funzionale Territoriale, sono i raggruppamenti di medici che sette giorni su sette, dalle otto di mattina alle 20.00, devono garantire la tutela della salute dei pazienti affidati dal sistema sanitario, ndr) i medici sono diventati burocrati, mentre le Asl fanno leva per farti fare le cose che vogliono loro: cioè andare a risparmio”. I giorni passati a gestire budget oltre a curare i pazienti: “Si metteva in mostra quanto spendeva ogni medico, chi spendeva di meno riceveva un bonus, e non poco, anche 8mila euro l’anno, quindi tu eri incentivato ad andare a risparmio”, afferma il pediatra. “Ad esempio si prendeva l’obiettivo di ridurre gli antibiotici iniettabili prescritti, si prendeva una media di prescrizioni, se eri sotto prendevi il bonus. Poi ci sono delle linee guida da seguire quindi è anche un sistema che serve – sottolinea -, lo vedo anche qui in Svizzera. Però qui ci sono le assicurazioni private: un paziente pensa e valuta l’urgenza insieme al medico, altrimenti se sfori il tuo tetto di spesa il prossimo anno l’assicurazione aumenta. Siamo più liberi di prendere le nostre decisioni e non veniamo penalizzati”. Che la sua partenza non sia stata una questione di soldi il medico lo afferma chiaramente: “Se faccio due conti, essendo il costo della vita di Zurigo alto, benché la tassazione sia al 12% in Svizzera, ci sono una serie di spese indirette per cui alla fine del mese mi rimangono 4mila franchi. In Italia con un po’ di attività privata guadagnavo anche di più dopo aver pagato le tasse”.

L’arrivo della pandemia non ha fatto altro che peggiorare la situazione. “I pazienti ti chiamavano a qualsiasi ora. Spendevo la maggior parte del mio tempo al telefono. Era come se noi medici fossimo un ostacolo da oltrepassare rispetto la loro volontà. Si insisteva spesso con le urgenze, soprattutto la fascia dai cinquant’anni in su, perché così avevano l’esenzione e non dovevano pagare anche se non c’era nessuna urgenza e intasavano soltanto il sistema. Ormai è tutto un mettere in discussione qualsiasi cosa, sui vaccini, sulle terapie, si chiede meno ad un meccanico che ti ripara l’auto che non al medico che ti da una medicina”. E quando non erano i pazienti a pressare, arrivava la burocrazia. “Ho vaccinato 300 pazienti lo scorso anno, ed ogni paziente ti complicava la vita perché bisognava fare tutta una serie di passaggi burocratici che richiedevano ore, altrimenti il sistema non ti dava altri vaccini”.

Una problematica lavorativa, quella italiana, che è sentita da molti medici. “I colleghi che sento sono tutti al limite. In questa situazione chi non va fuori per una qualità lavorativa migliore, cerca di andare in pensione e ricambio generazionale non c’è perché hanno bloccato le specializzazioni per anni”. L’Italia ha da tempo un problema di mancanza di medici, non solo quelli di famiglia, come denunciato da tutte le associazioni di categoria e sindacati. “Se qualcosa non cambierà nel nostro Paese il sistema sanitario non potrà reggere a lungo”. Quello di Francesco non vuole essere un addio, ha ancora buoni propositi per la propria terra: “Firenze rimane la nostra casa, dove ci sono le nostre amicizie. Nonostante tutto la mia idea è tornare tra qualche anno e lavorare in Italia fino alla pensione, però con una consapevolezza diversa che questa esperienza mi ha dato e che sono felice di aver fatto”.

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