Il fondatore M5S cita un'intervista ad Avvenire in cui il presidente dell'Inps invoca "da una parte una legge sulla rappresentanza sindacale" che eviti "la proliferazione di contratti di dubbia rappresentatività", "dall’altra un minimo legale intorno ai nove euro lordi l’ora". Giuseppe Conte rilancia: "Alcuni partiti, invece di appoggiare la nostra proposta sul salario minimo, proverò a sabotarla. La settimana prossima incontrerò sindacati e imprenditori"
“Abbiamo bisogno di una crescita più orientata verso lo sviluppo umano. Serve una legge sul salario minimo e sulla rappresentanza sindacale. Adesso!”. A scriverlo su Twitter è il fondatore e garante del Movimento 5 Stelle, Beppe Grillo, che pubblica sul proprio blog l’intervista di Avvenire al presidente dell’Inps Pasquale Tridico, dal titolo “Stop al lavoro povero”. Rilanciato nel giro di poco tempo dal presidente del Movimento Giuseppe Conte: “Mesi fa ho lanciato un appello a tutti i partiti per unire le forze contro la precarietà e le paghe da fame per i nostri giovani. Invece di appoggiare la nostra proposta sul salario minimo per aumentare gli stipendi, alcuni partiti provano a sabotarla, danneggiando i cittadini. È inaccettabile. La settimana prossima – aggiunge – incontrerò nuovamente i sindacati e le associazioni imprenditoriali per rafforzare il dialogo su questa urgenza e altre presenti nel mondo del lavoro. Per il Movimento 5 Stelle lavoro significa dignità. Non morte, non precarietà”.
Abbiamo bisogno di una crescita più orientata verso lo sviluppo umano. Serve una legge su #SalarioMinimo e sulla rappresentanza sindacale. Adesso! https://t.co/SyD2r53Pdk
— Beppe Grillo (@beppe_grillo) February 18, 2022
“Le caratteristiche già negative di disuguaglianza, precarietà e frammentazione del lavoro sono aumentate anche con la ripresa dell’ultimo anno”, ha dichiarato Tridico al quotidiano della Cei. “In Italia 4,5 milioni di lavoratori guadagnano meno di nove euro lordi l’ora. Una cifra impressionante, che vuol dire salari mensili netti intorno o sotto i mille euro”, ricorda.”I motivi vanno ricercati da una parte nella frammentazione del mercato del lavoro, che utilizza, in alcuni settori, il salario e la flessibilità come una leva di competizione. Dall’altra la scarsa dinamica della produttività del lavoro, che non permette in molti casi distribuzione di ricchezza. Ma è un cane che si morde la coda, e che ha portato molti economisti – inclusi Nobel per l’Economia – a ritenere che in molti casi gli stessi aumenti di salario possono portare aumenti di produttività, poiché spingono le produzioni su frontiere tecnologiche più elevate, allocano più efficientemente il lavoro e orientano investimenti a più alta intensità di innovazione, con maggiori guadagni di produttività. La competizione sul costo del lavoro, sui bassi salari, disincentiva invece gli investimenti innovativi e comprime il potere di acquisto”, sostiene Tridico.
Per questo, spiega, “non si possono attendere ancora a lungo il salario minimo e la legge sulla rappresentanza sindacale, che non sono soluzioni alternative, ma complementari. La contrattazione collettiva nel nostro Paese ha portato aumenti salariali ma in molti settori ha smesso di svolgere questo ruolo trent’anni fa, a causa della frammentazione del mercato del lavoro, della scarsa rappresentatività sindacale nei settori nuovi e della aziendalizzazione dei contratti, che hanno generato contratti pirata e ribassi salariali. Oggi abbiamo circa 985 contratti collettivi nazionali registrati, di cui oltre tre quarti di dubbia rappresentatività ma, in assenza di una legge, perfettamente legittimi. Da una parte quindi una legge sulla rappresentanza evita la proliferazione, attraverso l’individuazione di contratti leader. Dall’altra un minimo legale, che facendo riferimento alle indicazioni Ue potrebbe essere intorno ai nove euro lordi l’ora, fissa una soglia sotto la quale non si può scendere. Serve un approccio combinato di queste due misure”.