È uno dei risultati dello studio europeo EDC-MixRisk, pubblicati su Science, che dimostrano come durante la gravidanza una esposizione a una serie di ftalati, bisfenolo A (BPA) e composti perfluorurati (PFAS) possano in particolare comportare un ritardo nel linguaggio
Il mix di sostanze chimiche ambientali cui siamo continuamente esposti, interferendo col nostro sistema endocrino, incrementa il rischio di deficit neurologico nei nascituri. È uno dei risultati dello studio europeo EDC-MixRisk, pubblicati su Science, che dimostrano come durante la gravidanza una esposizione a una serie di ftalati, bisfenolo A (BPA) e composti perfluorurati (PFAS) possano in particolare comportare un ritardo nel linguaggio. L’importanza della ricerca risiede nella scoperta che è il mix di sostanze a provocare i danni.
I ricercatori sottolineano che “ogni anno, nell’ambito dei processi di autorizzazione alla produzione e commercializzazione di una vasta gamma di prodotti, a cominciare dai derivati plastici, fino ai cosmetici e ai pesticidi, entra in circolazione un numero enorme di composti chimici che penetrano nel corpo umano attraverso l’acqua, il cibo e l’aria. Sappiamo che, sebbene per le singole sostanze chimiche i livelli di esposizione siano spesso al di sotto del limite stabilito, l’esposizione alle stesse sostanze in miscele complesse può avere un impatto negativo sulla salute umana. Tuttavia, le attuali valutazioni del rischio, e i limiti stabiliti di conseguenza, si basano finora sull’esame delle singole sostanze chimiche. Era quindi essenziale verificare la possibilità di una strategia alternativa di valutazione del rischio, che consentisse di testare in ambito epidemiologico e sperimentale i mix di sostanze cui siamo di fatto esposti. Il progetto EDCMixRisk ha dato una risposta a questa esigenza”.
Lo studio – come si legge in una nota – è stato condotto in tre fasi: con lo studio SELMA – che ha seguito circa 2.000 donne dall’inizio della gravidanza fino all’età scolare dei bambini – è stato identificato un mix di sostanze chimiche nel sangue e nelle urine delle gestanti, associato a un ritardo nello sviluppo del linguaggio nei bambini all’età di 30 mesi. Il mix comprendeva una serie di ftalati, bisfenolo A (BPA) e composti perfluorurati (PFAS). Successivamente, studi sperimentali molto avanzati hanno scoperto i bersagli molecolari attraverso i quali i livelli critici di questo mix alteravano la regolazione dei circuiti endocrini e dei geni coinvolti nell’autismo e nella disabilità intellettiva. Infine, i risultati degli studi sperimentali sono stati utilizzati per sviluppare metodi di valutazione del rischio specifici per il mix di sostanze. Proprio grazie a queste nuove soglie di rischio definite sperimentalmente, è emerso come fino al 54% delle gestanti fossero state esposte a un aumentato rischio di ritardo del linguaggio nei nascituri.
“Questo studio è una pietra miliare per la tutela della salute pubblica e rende improcrastinabile un adeguamento legislativo che rispecchi il nuovo quadro di rischio delle sostanze tossiche ambientali, evidenziato per la prima volta in modo sistematico dai nostri dati. La sua unicità sta inoltre nell’aver dimostrato la fattibilità e l’efficacia della sinergia fra studi di popolazione e di laboratorio: un nuovo metodo che potrà essere applicato ad altri temi di salute pubblica. In Italia ci siamo occupati nei laboratori dell’Istituto Europeo di Oncologia della fase sperimentale, che proseguirà ora nel Centro di Neurogenomica dello Human Technopole. Gli organoidi del cervello umano (sofisticate colture in vitro che riproducono aspetti salienti dello sviluppo del cervello umano) – spiega Giuseppe Testa, Principal Investigator di EDC-MixRisk responsabile della modellistica sperimentale umana, professore di Biologia molecolare all’Università degli Studi di Milano, direttore del Centro di Neurogenomica presso Human Technopole e group leader presso l’Istituto Europeo di Oncologia – hanno offerto, anche in questo caso per la prima volta, l’opportunità di sondare direttamente gli effetti molecolari del mix di sostanze chimiche sul tessuto cerebrale umano, in fasi corrispondenti a quelle osservate durante la gravidanza. Abbiamo scoperto che, anche a concentrazioni basse, il mix interferisce direttamente sia con alcuni geni coinvolti nello sviluppo del cervello che con altri legati all’autismo (caratterizzato dal disturbo del linguaggio)”.
Secondo Nicolò Caporale e Cristina Cheroni, tra i primi autori dello studio “con il lavoro del nostro laboratorio abbiamo integrato le evidenze epidemiologiche relative al mix di interferenti endocrini con la comprensione dei suoi meccanismi d’azione, facendo luce su come agisce sul cervello umano e in che modo può creare danni al suo sviluppo. Grazie a modelli sperimentali innovativi, abbiamo esposto in laboratorio progenitori neuronali e organoidi cerebrali umani a diverse concentrazioni del mix e caratterizzato il loro impatto sia a livello di regolazione genica con esperimenti di trascrittomica, che a livello cellulare con tecniche di microscopia, scoprendo che veniva alterato lo sviluppo dei neuroni, e che la regolazione dell’ormone tiroideo era uno dei principali bersagli coinvolti. Come atteso per un aspetto così complesso come l’acquisizione del linguaggio, è bene sottolineare come l’esposizione aumenti in modo significativo il rischio di danno neurologico cui possono però contribuire anche numerosi altri fattori, in primis a livello di predisposizione genetica individuale. Lungi dal limitare il valore del nostro studio per i decisori politici, questo lo rafforza perché il mix di sostanze tossiche è un fattore di rischio su cui si può intervenire, a differenza di altri, con una legislazione adeguata. Pensiamo che uno dei potenziali della nostra ricerca sia dunque di inaugurare una nuova tossicologia a sostegno della politica ambientale europea”.
“Siamo orgogliosi di aver contribuito a questo importantissimo studio mettendo a disposizione la nostra struttura di ricerca avanzata, in grado di garantire ai ricercatori le migliori condizioni per sviluppare studi di base, accademici, in ambiti scientifici diversi. La scienza – , commenta il professor Roberto Orecchia, direttore Scientifico IEO – è una sola e le tecnologie che noi utilizziamo per l’oncologia si prestano anche ad altri filoni, nello specifico le neuroscienze e le ampie e diverse applicazioni”. “È noto da anni che il sistema nervoso in formazione è particolarmente suscettibile ad effetti permanenti e a ritardi dello sviluppo a seguito dell’esposizione precoce a sostanze tossiche durante il periodo prenatale. Questo studio – spiega Maria Pia Abbracchio, prorettore delegato al Coordinamento e alla promozione della Ricerca dell’Università degli studi di Milano – dimostra che, esattamente come avviene per i farmaci, basse dosi di un singolo agente interferente possono sinergizzare con altre sostanze, inducendo effetti anche a dosaggi apparentemente non tossici. Lo studio introduce inoltre un metodo affidabile per la valutazione della complessità del rischio, rivoluzionando il concetto di dose tossica minima per le singole sostanze chimiche e sottolineando la necessità di determinare l’effetto globale indotto dal mix di interferenti ai quali la mamma in gravidanza può essere esposta”.
“Rispondendo a un’esigenza lungamente evidenziata da diverse agenzie regolatorie, questo lavoro – ritengono gli scienziati – pone quindi le basi scientifiche per una radicale revisione delle politiche nazionali e internazionali di valutazione del rischio, finora basate sull’esame di singole sostanze e non di loro miscele”. Lo studio, finanziato dall’Unione Europea, è stato condotto in collaborazione fra università e centri di ricerca svedesi (Università di Uppsala, Università di Karlstad, Università di Göteborg, Karolinska Institutet, Università di Lund, Università di Stoccolma, Università di Örebro), italiani (Università degli Studi di Milano, Istituto Europeo di Oncologia e Human Technopole), francesi (CNRS/Muséum d’histoire Naturelle), finlandesi (Istituto finlandese per la salute e il benessere – THL), tedeschi (Università di Lipsia), greci (Università nazionale capodistriana di Atene), britannici (Università di Edinburgo) e statunitensi (Icahn School of Medicine at Mount Sinai, New York).