In Toscana c’è un progetto che spiega alla perfezione quanto sia complicato tradurre le parole in fatti lungo la strada dell’Italia verso la transizione energetica: sette pale eoliche da installare su un crinale appenninico del Mugello per un impianto che secondo il costruttore consentirà di soddisfare il fabbisogno di energia elettrica di circa 100mila persone. Sempre che si decida di costruirlo, visto che l’ambizioso traguardo non è bastato a mettere d’accordo tutti, a partire da Regione e sovrintendenze, passando per comuni, enti e associazioni del territorio. Perché se è vero, come è vero, che al capitolo energie rinnovabili si iscrivono buona parte delle speranze green del Paese, è altrettanto certo che i nuovi obiettivi strategici devono convivere con leggi, codici e cavilli che esistono già e per questo non possono essere ignorati. Con un paradosso finale: dopo il rimpallo tra enti fiorentini, la decisione definitiva con tutta probabilità spetterà a Mario Draghi.

Perché in Toscana non si sono ancora messi d’accordo e il parere negativo della Soprintendenza di Firenze rimette in discussione l’autorizzazione della giunta regionale dello scorso 7 febbraio. Una situazione che pone seri dubbi sulla capacità degli enti territoriali di percorrere da soli la via della transizione, tanto che il governo è al lavoro per snellire le lungaggini degli iter autorizzativi che bloccano la corsa alle rinnovabili. Compito che l’esecutivo non può rinviare oltre, perché l’Italia è già in una situazione di stallo che mette a repentaglio il raggiungimento degli obiettivi europei climatici che per il 2030 prevedono una riduzione del 55% delle emissioni rispetto ai livelli del 1990 e una copertura da rinnovabili del 72% per la parte elettrica. L’allarme è quello rilanciato da Legambiente: “Si tratta di obiettivi precisi, essenziali per mantenere la temperatura al di sotto del grado e mezzo″. Sempre secondo Legambiente, “se solo il 50% dei progetti in attesa di autorizzazione fosse realizzato, l’Italia avrebbe già raggiunto gli obiettivi Ue”. Ma la realtà è ben diversa: lo scorso autunno si registravano richieste di autorizzazioni alla Rete Elettrica Nazionale per parchi eolici e fotovoltaici su terraferma pari a 130 gigawatt, ai quali aggiungere altri 22 GW per impianti a mare. Per gli obiettivi europei ne basterebbero 80, con un’implementazioni media per l’Italia di 8 GW l’anno. Invece negli ultimi sette anni abbiamo aggiunto in media 0,8 GW l’anno. Il risultato di un paese che tergiversa “tra normative obsolete, discrezionalità nelle procedure di Valutazione di impatto ambientale, norme regionali disomogenee tra loro e contenziosi tra istituzioni”, denuncia Legambiente. Un labirinto che inghiotte anche il confronto nei territori, che devono districarsi e spesso non ne trovano il modo.

Snellire le procedure, dunque, e in fretta. Ma la sfida è complessa e va ben oltre la burocrazia, ed è proprio qui che lo scontro mugellano ci indica una strada tutt’altro che in discesa. Anzi, quella che porta al crinale dove si prevede di installare le turbine “ha una pendenza fino al 28 percento e sacrificherà parte dei boschi di un corridoio ecologico strettamente legato alla biodiversità dell’area”, denunciano le associazioni del territorio, che già promettono il ricorso al Tribunale amministrativo regionale (Tar). “Il proponente si è impegnato a ripristinare il paesaggio togliendo l’asfalto, ma noi abbiamo dei dubbi sul fatto che questa ferita non crei un dissesto sulla montagna, oltre alla perdita irreparabile delle piante”, rilancia il soprintendente fiorentino Andrea Pessina, che proporrà il riesame alla presidenza del Consiglio dei ministri. Che avrebbe compito facile se si trattasse solo di favorevoli e contrari. Invece il conflitto è anche tra le norme, da quelle regionali come il Piano di indirizzo territoriale, a quelle dell’Europa, che di Strategie ne ha molte, dalle rinnovabili alla tutela della biodiversità, e non sempre compatibili. Così, dopo un iter autorizzativo di quasi tre anni che ha coinvolto più di cinquanta enti locali, delle pale sul Mugello e del suo ambiente naturale dovrà farsi carico Roma.

Sull’impianto eolico denominato Monte Giogo di Villore, di argomenti validi ce n’è da entrambe le parti. Ma le attuali norme evidentemente non dicono quali ragioni debbano prevalere. Proposto dalla multiutility dei comuni di Verona e Vicenza, il gruppo AGSM AIM, il progetto da 35 milioni di euro prevede la realizzazione di sette aerogeneratori fino a 99 metri di altezza dalla base e una potenza complessiva di 29,6 MW, da installare tra i comuni di Vicchio e Dicomano. “L’impianto – assicura l’assessora all’ambiente della Toscana Monia Monni – genererà almeno 80 milioni di Kwh annui e permetterà di soddisfare il fabbisogno elettrico di 100mila persone, molte di più di quelle che vivono nel Mugello che conta circa 64mila abitanti, e contribuirà a tagliare le emissioni di Co2 di circa 40mila tonnellate l’anno”. Il superamento delle fonti fossili è l’argomento forte a favore del parco eolico, sostenuto da associazioni come Cittadini per l’Italia rinnovabile di cui fanno parte pezzi di Fridays for future, ma anche di Legambiente nazionale e del Kyoto club. Ma i numeri dell’assessora Monni non convincono tutti. In consiglio regionale alcuni gruppi stanno eseguendo l’accesso agli atti per verificare che le conclusioni della Conferenza dei servizi e della giunta siano adeguatamente motivate. “Se l’istruttoria non è esaustiva si apre il campo dei ricorsi”, avverte Eliza Tozzi del gruppo misto-Toscana domani. Lo stesso sta facendo il gruppo del M5s, da sempre contrario all’opera. “Fatichiamo a ottenere alcuni atti, in un clima che su questo passaggio mostra tutte le difficoltà del confronto con il governo regionale”, accusa la presidente del gruppo 5stelle, Irene Galletti.

La Conferenza dei servizi, l’istituto per esaminare gli interessi in gioco che precede l’autorizzazione regionale, ha visto coinvolti 56 enti del territorio. Ma il confronto non ha ridotto le distanze e chi ha dato parere negativo per lo più non ha cambiato idea. Il soprintendente di Firenze Pessina, confermando il suo no, ha dichiarato che non si tratta “solo della costruzione di queste pale che hanno un’altezza notevole di quasi 100 metri, con altrettanti metri infilati nel terreno e una base di cemento armato, ma è soprattutto il fatto che i materiali vengono portati in quota con autoarticolati di grandi dimensioni, quindi si dovranno aprire attraverso dei boschi di gran pregio una serie di strade asfaltate e in molti casi ridurre i dislivelli”. Gli interventi necessari al cantiere preoccupano tutto il fronte contrario all’impianto eolico, e non si tratta solo dei 20 ettari circa da cementare. Da più parti si cita Arpat, l’Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana, che non ha concesso l’autorizzazione unica ambientale perché il progetto non ha ancora chiarito qualità, quantità e gestione degli scarichi idrici in uscita dai cantieri sulla montagna”, spiega la consigliera Tozzi.

A mettere in fila i potenziali danni all’area sono poi associazioni come Italia Nostra, che insieme al Club Alpino Italiano della Toscana, all’Associazione Dicomanocheverrà, a MugelloinMovimento, al Comitato per la tutela del crinale mugellano e all’Associazione Atto primo Salute Ambiente Cultura, ha firmato un comunicato che promette il ricorso al Tar. “Il Mugello sembra ormai il contado fiorentino”, è il commento amaro della responsabile di Italia Nostra Firenze, Piera Ballabio. “Parliamo di un territorio già provato da opere come la discarica di Firenze, la variante di valico e la Tav, che ha prosciugato irreversibilmente oltre 350 chilometri quadrati di territorio, anche boschivo, con la scomparsa di 81 corsi d’acqua, 37 sorgenti, una trentina di pozzi e cinque acquedotti, oltre ad avere inquinato il territorio per i depositi di terre di scavo contaminate da idrocarburi”, spiega, certa che gli scavi previsti per installare il parco eolico a mille metri di quota comportino nuovi danni. “Il nostro geologo ha fatto presente che ci sono frane, alcune delle quali già a conoscenza della Regione”. Non ultimo, le associazioni contestano al governo regionale di non aver mai reso pubblica l’informativa del progettista sulla ventosità dell’area. “Anche il WindGis, il Sistema per la valutazione del potenziale eolico della Regione, non individua l’area interessata dall’impianto Monte Giogo di Villore tra le maggiormente ventose, cioè quelle che raggiungono valori tra i 5 e i 7,5 metri al secondo, quindi ci permettiamo di avere dubbi sulla produttività energetica della quale giunta e assessora si dicono tanto certi”.

I conflitti non sono soltanto quelli tra pro e contro. A complicare le cose sarebbero le stesse normative, comprese le regole che si è data la Regione. A partire dal Piano di Indirizzo territoriale della Regione Toscana (PIT), che chi combatte il parco eolico cita perché “tra le aree non idonee alla realizzazione di parchi eolici industriali, individua quelle di notevole interesse pubblico indicate dal codice dei beni culturali e del paesaggio. “In particolare, l’art.136 cita “le bellezze panoramiche e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze”. Ebbene, il luogo scelto ricade proprio in questa situazione”, spiega Ballabio. E rilancia: “Il PIT non è mai stato modificato, né ridiscusso in consiglio regionale. Invece di volta in volta subisce varianti che ne alterano il contenuto anche dove tutela espressamente il Mugello”. Cortocircuiti che superano anche i confini regionali. L’assessora all’ambiente Monni dichiara infatti che la scelta “è coerente con i Piani europei”. Allo stesso tempo sono presenti normative comunitarie a tutela della fauna e dell’habitat (2009/147/CEE e 92/43/CEE), che qui sono di casa perché il tratto di crinale interessato confina con la Zona Speciale di Conservazione Muraglione Acqua Cheta e la stessa Zona di protezione Speciale dell’Acqua Cheta, entrambi Siti di Interesse Comunitario (SIC). E dista appena qualche centinaio di metri dal Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, la cui direzione ritiene il parco eolico “incompatibile con le finalità di tutela e valorizzazione ambientale”. E ancora: “L’assenza di qualsiasi tipo di infrastruttura fa di questo tratto di crinale l’area con i livelli di disturbo antropico più bassi dell’intero tratto di Appennino. Tale condizione è ben esemplificata dal ricco e diversificato popolamento di rapaci diurni che frequentano la zona, composto da numerose specie, molte delle quali particolarmente sensibili al disturbo antropico”.

A dar voce al picchio nero, al lupo, al gatto selvatico e all’aquila reale si impegna Alessandro Bottacci, già Capo dell’Ufficio centrale Biodiversità presso la Direzione generale del Corpo Forestale dello Stato, professore incaricato di Conservazione delle natura all’università di Camerino e dal 2020 direttore del Parco nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna. Anche a lui non mancano le fonti normative: “La strategia europea della biodiversità è la spinta dell’Europa alla conservazione delle aree naturali. L’Ue punta a un 30% di aree protette nel territorio europeo e al 10% di protezione molto stretta. Andare a intervenire su zone per loro stessa natura vocate a essere inserite in quel 30% è sbagliato. Non dobbiamo forse considerare gli indirizzi previsti dalla normativa europea? E non dimentichiamo la Rete 2000, che riunisce le aree protette in Europa e riguarda proprio queste aree”. Poi entra nel merito della sua materia, e del corridoio ecologico per il quale l’impianto sul cirinale mugellano rappresenterebbe un’irreparabile frattura: “Uno dei principali motivi di riduzione di biodiversità è la frammentazione degli habitat, dove le separazioni creano isole difficilmente collegabili tra loro. È proprio per ridurre i danni di questa frammentazione che l’Europa cerca di tutelare questi corridoi ecologici. Quando su un crinale come questo intervieni con grande impatto sia nel cantiere che poi nella gestione, tu crei una barriera che non permette il fluire di flora e fauna, come il lupo, i rapaci o il picchio nero, specie alpina rarissima rimasta solo in poche zone dell’Appennino, e che solo di recente e con grande difficoltà da queste zone rifugio si sta ridiffondendo”. E poi ci sono le aquile reali, che negli ultimi vent’anni sono passate da una sola coppia a otto, ma anche insetti rari e molte specie di anfibi, “che nel mondo sono tra i gruppi più minacciati”.

Tutto questo e molto altro, finirà ora sulle scrivanie di Mario Draghi e dei suoi ministri. La Soprintendenza archeologica, belle arti e paesaggio di Firenze, così come le Province di Prato e Pistoia e il Comune di San Godenzo, tutti contrari all’opera, potranno portare il loro dissenso fino a Roma e opporsi così alla delibera regionale, rimettendo al presidente del Consiglio dei Ministri di decidere una volta per tutte. “Se vogliamo davvero salvare il pianeta, dobbiamo anche avere il coraggio di cambiare un po’ il paesaggio per proteggerlo”, sostiene l’assessora Monni. Che conclude: “Ritengo assolutamente necessario che, nella formazione dei procedimenti autorizzativi, si tenga conto dell’interesse pubblico prevalente”. Draghi e i suoi dovranno tagliare la testa al toro, decidere quale sia l’interesse che prevale sugli altri. Ma ciò che non si è saputo risolvere nelle sedi opportune si infila così in un imbuto istituzionale e politico, da cui uscirà certo la decisione finale, ma dal quale difficilmente passeranno molti degli interessi in campo, compresi quelli del picchio nero, del lupo, dell’aquila.

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