Achille Lauro rappresenterà San Marino all’Eurovision Song Contest di Torino dal 10 al 14 maggio. Questa è la sola notizia, peraltro più che attesa, che è venuta fuori da “Una voce per San Marino”, l’ambizioso festival organizzato sul Titano per scegliere il rappresentante della minuscola repubblica incastonata tra Romagna e Marche. Ambizioso è dir poco, in realtà, perché ieri sera ci si è trovati di fronte all’esemplificazione televisiva del vecchio adagio del “passo più lungo della gamba”.
Ubriacati dal trionfo nel 2021 dei Maneskin e dai numeri esorbitanti che la band romana ha collezionato in tutto il mondo dalla vittoria in poi, cantanti italiani di diversa levatura e notorietà si sono fiondati alle porte di San Marino per tentare la carta “straniera”. Basti pensare che tra i finalisti dell’orrida kermesse sammarinese c’era gente come Ivana Spagna, Valerio Scanu, Alberto Fortis, Francesco Monte, Matteo Faustini e giù giù fino a gente che non viene riconosciuta neppure nel proprio quartiere. E con le orde musicali italiani alle porte, i sammarinesi hanno creduto di poter giocare a fare Sanremo, prendendo parte all’ubriacatura collettiva e dimostrando scarsa aderenza alla realtà. Achille Lauro, uscito con le ossa rotte dall’ultimo Sanremo e forse vittima di una ostinata sovraesposizione, è stato l’ultimo a entrare a far parte del variopinto gruppo sammarinese con l’obiettivo dichiarato, e prevedibilmente facile da raggiungere, di portare le proprie performance sul palco più importante e colorato d’Europa. Ci è riuscito, bene per lui. Ora toccherà non sfigurare a Torino e riuscire a qualificarsi per la finale perché in caso contrario la figura sarebbe assai magra.
Ma lasciamo perdere Achille Lauro e la sua voglia di essere ovunque e ad ogni costo. Parliamo di “Una voce per San Marino”. Velleitario tentativo di scimmiottare Sanremo? Sì, senza dubbio. Tanto che dal palco del teatro Nuovo di Dogana il conduttore Jonathan Kashanian si è più volte lanciato in spericolate frecciatine rivolte all’ultimo Sanremo, a riprova del fatto che conoscere i propri limiti è impresa ardua un po’ per tutti.
Invece di provare a scornarsi, uscendone malconci, con l’evento nazionalpopolare più importante d’Italia, i signori di “Una voce per San Marino” avrebbero potuto tentare di rendere meno amatoriale lo spettacolo che è stato trasmesso dalle frequenze della tv sammarinese. Problemi audio, una qualità video da dvd pirata di inizi anni 2000, regia da tv condominiale, testi basici, sketch malriusciti, alcune canzoni in gara francamente imbarazzanti anzi cringe, come dicono i giovanissimi. La serata, insomma, è stata una sequela di disastri e di cose buttate lì per caso. Ma prima di tutto è stata l’esemplificazione dell’inadeguatezza e del dilettantismo di un evento che, per la solita teoria delle cose orrende che fanno il giro e diventano interessanti, a molti spettatori è sembrato addirittura cult. Sui social era tutto un trionfo di “Che trash!” però è bene fare attenzione: il trash è una cosa serissima e per essere credibile bisogna che ci sia gente capace di farlo. Quello di “Una voce per San Marino” non era trash.
Potremmo definirlo, piuttosto, con una parola che comprendono all’interno del Grande Raccordo Anulare: una “pecionata”. Un continuo “vorrei ma non posso” che alla fine è risultato frustrante per chi provava a tenere in piedi una baracca traballante imbellettata da happening nazionalpopolare e soprattutto per chi ha avuto il fegato di guardarlo tutto, dall’inizio alla fine, giusto per capire fino a dove ci si sarebbe spinti. La cosa ipnotica della serata è stato senza dubbio il rullo pubblicitario. Ogni break era identico a quello precedente e a quello successivo, con gli spot che erano sempre uguali. Prima il casinò di San Marino, poi una app di uno chef misconosciuto da scaricare e un marchio nazionale di arredamento per arrivare infine al capolavoro: lo spot di un ipermercato locale con tanto di panoramica che indugiava sul banco della carne e del pesce.
Chiariamo: stiamo parlando pur sempre del canale televisivo di uno staterello minuscolo con 35mila abitanti, per carità, ma se tu presenti l’evento come qualcosa di grosso, ambizioso, persino con velleità globali (a proposito: imbarazzante la presentazione anche in inglese), poi da casa ci si aspetta qualcosa di grosso, ambizioso, con velleità globali. O quantomeno qualcosa di decente, di accettabile, di dignitoso. No, niente. Niente era dignitoso, in quello che abbiamo visto ieri sera. Era una roba brutta, ideata, concepita e realizzata malissimo.
L’esaltazione divertita del brutto, dell’orrido, dell’amatoriale è comprensibile sui social, dove si passa la serata a commentare in allegria le mostruosità trasmesse in tv. E questo va bene, ci sta, fa parte del gioco. Però poi c’è da ragionare a bocce ferme e provare a dare un parere serio e onesto. Più che “Una voce per San Marino”, è stato “Uno strazio da San Marino”.
Avete presente quei fanfaroni che si vantano di essere grandi amatori per invogliarvi e poi, arrivati al dunque, sono dei noiosissimi e imbranati smanacciatori? Ecco, è successo esattamente questo. Ci erano stati promessi i fuochi d’artificio e invece ci siamo ritrovati alle prese con un partner che non sapeva neppure dove mettere le mani. Ora, per il prossimo anno pare che San Marino abbia intenzione di bissare e tocca che sul Titano prendano una direzione chiara: possono tranquillamente continuare con la sagra della salama da sugo nel solco di quello che abbiamo visto ieri sera, per carità, però, in quel caso, tocca abbassare le aspettative. Anche meno, insomma, perché se, al contrario, continueranno a vendere quel pastrocchio immondo di ieri sera come un grande evento continentale, toccherà ripensare tutto. Noi, umilmente, consigliamo la via della sagra della salama da sugo. Si spende meno e ci si diverte di più.