Il 21 febbraio si celebra la giornata mondiale della lingua materna. Nel suo messaggio commemorativo, la direttrice generale dell’Unesco Audrey Azoulay ha ricordato che: “quando Hamet, il bambino creato dalla scrittore Diadié Dembélé (nel libro Le duel des grands-mères) esprime l’aspirazione a riscoprire la sua lingua, sta esprimendo un’esigenza universale e fondamentale: ogni lingua, infatti, ha un certo ritmo e un certo modo di avvicinarsi alle cose e di pensarle. Pertanto, imparare o dimenticare una lingua non è semplicemente acquisire o perdere un mezzo di comunicazione, ma anche vedere apparire o svanire un intero mondo.”

L’atlante sociolinguistico delle popolazioni indigene in America Latina prodotto da Unicef insieme a FUNPROEIB Andes e l’Agenzia Spagnola di Cooperazione Internazionale allo Sviluppo – Aecid, nel 2009 (scaricabile qui), ci dice che nella regione abitano 520 popoli indigeni che parlano 420 lingue. Purtroppo però una lingua indigena su cinque sta per scomparire, causando la perdita di un enorme patrimonio culturale che fa parte della nostra ricchezza collettiva, della nostra diversità e della nostra storia come razza umana. Quando questo succede, come purtroppo accaduto la settimana scorsa, la notizia fa il giro del mondo ma poi, nella stragrande maggioranza dei casi, più nulla.

Lo scorso 16 febbraio infatti è mancata all’età di 93 anni l’ultima parlante attiva di una lingua indigena della regione latinaoamericana: la cilena Cristina Calderón. La donna era considerata l’ultima Yamana etnicamente pura al mondo e l’ultima persona che dipingeva il mondo con il pennello della lingua ancestrale yagán. Attraverso i suoi social network, la figlia più giovane di Cristina, Lidia González Calderón, ha spiegato che una parte importante della memoria culturale del suo popolo è morta insieme sua madre. Stiamo parlando di un popolo (Yámana o Yagán) dell’estremo sud del Sud America, nel territorio che oggi prende il nome di Cile e Argentina, una comunità nomade che si è mossa in quel territorio da circa 6mila anni!

Il lutto è quindi dovuto e la riflessione su ciò è andato perso è d’obbligo. Necessario però a mio avviso è anche agire per la difesa di quei popoli indigeni e di quelle comunità che quotidianamente devono difendersi con le “unghie e con i denti” dall’avidità di un sistema capitalista-estrattivista che non tergiversa di fronte ad un possibile genocidio culturale. Le comunità indigene nella regione latinoamericana continuano ad essere in prima linea per la difesa non solo del loro territorio (con il quale vivono simbioticamente) ma anche di una eredità socio-linguistica, di un modo di vivere, vedere, sentire e percepire il mondo che potrebbe perdersi da un momento all’altro.

Di pochi giorni fa è la notizia della vittoria del popolo indigeno Nahua, che è riuscito a fare in modo che la Corte Suprema di Giustizia del Messico togliesse due concessioni alla multinazionale mineraria di origine canadese Almaden Minerals. Una sentenza storica, che riconosce la violazione Convenzione dei popoli indigeni e tribali del 1989 (n. 169) dell’Oit che garantisce alle popolazioni indigene il diritto del consenso libero, preventivo e informato sulla costruzione e/o attivazione di progetti con grande impatto socio-ambientale nei loro territori.

Anche in Ecuador si è festeggiata una grande vittoria il 4 febbraio quando l’Ong Alianza Ceibo ha dado conto, attraverso la pubblicazione di questo comunicato stampa, del fatto che la Corte Costituzionale dell’Ecuador si era pronunciata a favore del diritto dei popoli indigeni di decidere, in base alle loro forme di governo, il futuro dei loro territori in Amazzonia. Una sentenza che arriva dopo una lunga battaglia che la Comunità di Sinangoe ha condotto per la difesa del proprio territorio e che fornisce un potente strumento per proteggere 9,3 milioni di ettari di territori ancestrali in tutto il paese.

Di fronte a queste piccole-grandi vittorie esiste però un panorama tutt’altro che roseo per i custodi delle lingue indigene in America Latina. Il taglio di legna indiscriminato delle foreste, la contaminazione delle fonti d’acqua, le bande criminali dedite al narcotraffico, l’apertura di miniere a cielo aperto o la distruzione di lagune per la ricerca di oro e argento: una morsa che stringe da ogni lato dei corpi-territorio che vengono continuamente saccheggiati, indipendentemente dal colore del governo di turno (anche se con alcune sfumature). Sempre di pochi giorni fa ad esempio, la notizia lanciata da Survival International Italia (Ong da sempre in prima linea per la difesa dei popoli indigeni e tribali) che nell’Amazzonia brasiliana, una tribù incontattata finora sconosciuta sarebbe già sull’orlo dell’estinzione. Un dramma che possiamo contribuire ad evitare, rimanendo vigili e attivi nell’appoggio di chi difende questo patrimonio, piuttosto che piangere quando questi mondi si spengono per sempre.

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