Stamane trovo nel pc il commento di un collega alla sentenza del Tribunale Penale di Pisa sulle violazioni costituzionali al tempo della pandemia. Riprendendo una celebre battuta di Bertolt Brecht, mi scrive: “ci sarà pure un giudice a Berlino!”.

Ennesima testimonianza di quell’ansia da martirologia, accompagnata da un ostentato atteggiarsi a cavaliere della valle solitaria, l’eroe solo contro tutti che sfida la morte in nome dei propri valori irrinunciabili, che ha caratterizzato la lotta di una minoranza rumorosa contro le disposizioni profilattiche del governo; a fronte di un contagio a cui la scienza medica e le policies sociali ancora non erano riuscite a prendere le misure. E brancolavano nelle sperimentazioni al buio; tutto questo mentre le morti crescevano di numero in misura esponenziale e le bare si accatastavano.

Ma ecco che, con alto sprezzo del ridicolo, spuntavano dove meno lo si sarebbe aspettato – a fianco dei don Ferrante reincarnati, negatori della peste perché filosoficamente irriducibile alle categorie aristoteliche – i nuovi resistenti, pronti a imbracciare le armi contro l’attacco ai diritti di cittadinanza a mezzo imposizione delle mascherine sanitarie e il distanziamento sociale come reintroduzione di gulag e lager 2.0. Mentre i commossi a tassametro dei talk show – dalle Mara Venier alle Barbara d’Urso, a Red Ronnie – si struggevano per l’impraticabilità legale del terapeutico rito dell’abbraccio.

Ogni sabato avevo nelle orecchie il suono di tamburi e trombette d’accompagnamento dei cortei No Vax per il centro della mia città, intervallati dal tintinnio delle sfilate rigorosamente arancioni degli Hare Krishna; nel remake delle processioni medievali durante le ricorrenti epidemie del tempo, in cui i fedeli terrorizzati marciavano attorno al crocefisso e favorivano il contagio reciproco. Un po’ come oggi la percentuale di non vaccinati – leader della protesta in testa – che crepano del morbo negato fino all’ultimo. Ma non le star della cultura mobilitate nella nuova lotta di liberazione, riunitesi a Torino per dare sfogo alla loro ansia di protagonismo (e magari ritrovare l’ebbrezza di antichi antagonismi): il malmostoso Massimo Cacciari, Carlo birignao Freccero, il lunare Giorgio Agamben, il profeta del benecomunismo Ugo Mattei. Titanismo accademico, declinato nella gag degli amici del popolo, pronto alla lotta contro le squadre della morte che si aggirerebbero casa per casa per catturare tremanti non vaccinati come tante Anna Frank.

Una fantafollia che fa il paro con quella pop dei codici a barre inoculati a mezzo Moderna o Pfizer per preparare la prossima invasione aliena.

A questo punto sembra persino meno deprecabile la battaglia contro la meritoria campagna di contenimento del virus da parte del governo (che venne elogiata e imitata da tutti i paesi dell’Occidente avanzato) ad opera dei padroncini di Confindustria. Quelli che agivano all’insegna del “vabbé, se muore qualcuno non importa, ciò che conta è che riparta l’economia”. Preclaro esempio di cinismo assassino, ma almeno espressione di tesi comprensibili, dunque contestabili. Non i deliri a fumetti di persone possedute da follie oniriche o da timori irrazionali provenienti direttamente da mondi arcaici che si riteneva fossero estinti da lunga pezza. Che reclamano come diritto irrinunciabile quanto la nostra veneranda Costituzione non si è mai premurata di avallare: il non propriamente sacrosanto diritto di infettare. Le cui pressioni sul governo attraverso i partiti destrorso-demagogici (Lega e Fratelli d’Italia) – unite a quelle affaristiche di lorsignori – hanno portato prima alla pagliacciata del Green Pass e ora a un liberi tutti a tutta birra, che ci promette nuove ondate di contagi.

Frase famosa per frase famosa, a questo ininterrotto e irresponsabile revival di epicità ad uso improprio, si potrebbe replicare che “la storia si ripete sempre due volte: la prima come tragedia e la seconda come farsa”.

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