Ricoverato in stato di shock. O invece no. A lungo, dopo l’uccisione dell’ambasciatore Luca Attanasio, del carabiniere di scorta Vittorio Iacovacci e dell’autista Mustapha Milambo il 22 febbraio 2021 nella Repubblica Democratica Congo, gli inquirenti hanno tentato di mettersi in contatto con l’unico italiano sopravvissuto all’agguato, testimone oculare chiave per ricostruire i fatti e comprendere quanto era accaduto. Ma il telefono squillava a vuoto, nonostante le chiamate arrivassero da un’utenza ufficiale e riconoscibile. Rocco Leone, vicedirettore del Pam in RdCongo e in quel momento anche direttore facente funzione, era introvabile. Ricoverato in stato di shock, si era detto.

“I tentativi di contatto sulla utenza telefonica in uso al Leone – si legge nelle carte dell’inchiesta – non sortivano alcun effetto”. E ancora: “Dai primi accertamenti del Ros, Leone Rocco veniva ricoverato presso il nosocomio locale in stato di shock”: questa la notizia ufficiale che era circolata e che tutti avevano rilanciato. Questa, anche, la giustificazione opposta agli inquirenti che nelle ore immediatamente seguenti alla tragedia lo cercavano per raccogliere la sua versione di testimone oculare.

E invece le carte dell’inchiesta ora dicono altro: Leone (attualmente indagato per omicidio colposo e omesse cautele in uno dei due filoni dell’inchiesta insieme al responsabile della sicurezza del Pam, Mansour Rwagaza) nelle ore e nei giorni successivi all’agguato non si trovava in ospedale. Già alcune testimonianze che Ilfattoquotidiano.it aveva raccolto in forma confidenziale lo avevano suggerito, ma ora se ne ha la ragionevole certezza: è la stessa moglie di Leone a confermarlo al telefono con delle amiche, come si legge nelle trascrizioni di due diverse intercettazioni, nei giorni seguenti il triplice omicidio. Al telefono con una conoscente che le chiedeva notizie sulla salute del marito, il 24 febbraio 2021 confermava che “non era stato ricoverato”. Il giorno seguente, a un’altra interlocutrice, la donna “confidava che, diversamente da quanto era trapelato, non era veritiera la notizia che dopo l’evento il marito era stato ricoverato in ospedale in stato di shock”.

E ancora: il 27 febbraio, a un’amica, la moglie di Leone raccontava che lui “era abbastanza tranquillo, ha detto che per ora non ci vuol parlare con questi dell’indagine… insomma… perché non c’è ancora l’autorizzazione del World Food Programme… dice stiamo tutti nello stesso albergo… siamo tutti che si aspetta… quegli altri siccome sono congolesi, il governo congolese li tiene chiusi in un ospedale, anche se non c’hanno niente”.

A queste parole si aggiunge una testimonianza già raccolta da ilfattoquotidiano.it e acquisita anche dai magistrati, secondo cui Leone attorno all’ora di pranzo del 22 febbraio, il giorno dell’agguato mortale, si trovava presso un ristorante italiano insieme al console onorario Gianni Giusti e al proprietario del locale stesso, Michele Macrì. Lo testimonia uno scambio di messaggi messo agli atti tra due interlocutori vicini a Leone che Ilfattoquotidiano.it preferisce mantenere anonimi. “Mi confermi che lunedì pomeriggio hai parlato con Leone?”, dice il primo. “Non abbiamo parlato con lui direttamente ma abbiamo chiamato un altro che ci ha detto di essere con lui… erano le 13.26. Quando gli abbiamo chiesto come va ha detto… sono qui con Rocco… senza specificare dove”. Successivamente i due si risentono: “Scusami se insisto… Siamo certi che Leone il lunedì pomeriggio fosse negli uffici del ristorante?”. “Allora abbiamo chiamato Michele e diceva di essere al ristorante con Lui e Gianni“.

Twitter: @simamafrica @GianniRosini

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