Un anno fa, sul confine orientale del Congo, venivano assassinati il nostro ambasciatore Luca Attanasio, il carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista Mustafà Milambo. A un anno di distanza ci giungono i particolari dell’agguato in virtù dell’inchiesta della Procura di Roma a carico di Rocco Leone, vicedirettore del Pam, il Programma alimentare dell’Onu, e del suo collaboratore locale Mansour Rwagaza. Entrambi, per non aver seguito i protocolli di sicurezza nella preparazione del viaggio, sono accusati di omicidio colposo.

Dalle dichiarazioni dei due imputati emerge che l’omicidio del nostro ambasciatore e del carabiniere Iacovacci è da attribuirsi a un sequestro finito male. E’ fondamentale che emergano tutte le responsabilità e le eventuali colpe. Era opportuno da parte del Pam far transitare l’ambasciatore senza macchina blindata (che era solito usare) in un’area che poi si è rilevata mortale? Perché il Pam ha inserito nella fascia verde, cioè con rischio minimo, quel territorio dove si è consumata la tragedia?

La moglie di Attanasio ha dichiarato che l’ambasciatore “chiese notizie in merito alla sicurezza e il Pam gli assicurò che avrebbe provveduto” e “anche i Carabinieri della scorta avevano fatto richiesta per sapere il livello di sicurezza della strada e gli era stato riferito che il percorso era sicuro”. La magistratura farà il proprio percorso, ma ciò che emerge sono le gravi lacune che, se accertate, non possono restare impunite soprattutto per evitare che altri servitori dello Stato subiscano la medesima triste sorte.

E’ necessario chiarire le eventuali responsabilità degli addetti alla sicurezza della missione di pace delle Nazioni Unite per capire se vi sia stata, da parte loro, una sottovalutazione del rischio e una conseguente omissione nella predisposizione delle misure indispensabili che avrebbero dovuto garantire l’incolumità per il convoglio e che nonostante il territorio sia notoriamente infestato da milizie armate e ritenuto pericoloso, sia stato, invece, considerato sicuro.

Luca Attanasio era un uomo di pace, nel 2020 era stato insignito del premio Nassiriya per la pace proprio in virtù del suo impegno umanitario. E’ stato descritto da chi l’ha conosciuto come una persona umile, sensibile, che aveva abbracciato con fede e determinazione la causa degli ultimi e dei più fragili. Perdere un uomo così è un grande dolore per tutto il Paese. Le istituzioni non devono dimenticare la testimonianza di questo umile servitore e devono altresì pretendere che sia fatta piena giustizia.

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