Dagli arresti domiciliari organizzavano summit, definivano piani e strategie, riorganizzavano la famiglia e ricostruivano l’alleanza tra i vertici del clan per imporre una regia unica alle attività illecite e ripristinare la cassa comune (che chiamavano “paniere” o “bacinella”) dove far arrivare i soldi sporchi: in parte erano destinati al sostentamento degli uomini d’onore detenuti. E’ quanto emerge dall’inchiesta che ha decapitato il clan mafioso di Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina. Un maxi blitz con 81 arresti e 5 misure cautelari in Sicilia e Calabria, eseguito all’alba di questa mattina dai carabinieri di Messina su richiesta della Procura Distrettuale Antimafia. Le accuse a vario titolo sono quelle di associazione di tipo mafioso, estorsione, scambio elettorale politico mafioso, trasferimento fraudolento di valori, detenzione e porto illegale di armi, incendio, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, sfruttamento della prostituzione, con l’aggravante del metodo mafioso.
“I boss puntavano all’ecobonus” – Nel corso dell’indagine è emerso che il presunto boss della famiglia barcellonese, Mariano Foti, aveva preso contatti con imprenditori e politici locali tra cui Mario Tindaro Ilacqua, dipendente della Pi.esse.i. srl, una ditta che opera nel settore delle energie rinnovabili: l’obiettivo era creare una rete imprenditoriale per appalti legati all’eco bonus 110%. Stando alla ricostruzione degli inquirenti, il clan mafioso avrebbe creato le basi per una “rete commerciale a cui affidare il compito di segnalare gli edifici su cui effettuare i lavori di ristrutturazione edilizia e di efficientamento energetico previsti dall’ecobonus”.
I voti per le comunali – Dall’inchiesta degli inquirenti emerge inoltre che, in occasione delle elezioni amministrative del 4 e 5 ottobre 2020 a Barcellona Pozzo di Gotto, un boss dei barcellonesi aveva dato l’appoggio ad alcuni politici locali, tra cui Carmelo Caliri della lista “Diventerà bellissima”, in cambio della promessa di assunzione del figlio Salvatore. Secondo le accuse la lista sarebbe stata appoggiata anche da altri due presunti mafiosi: Cannello Foti e Rosario De Pasquale. Secondo alcune intercettazioni, i due avrebbero parlato dell’appoggio alla candidata Domenica Milone e di Giampiero La Rosa: la prima, che prese 141 voti, il secondo, eletto consigliere comunale con 347 voti di preferenza. Contattato dal padre di La Rosa che gli chiedeva se era troppo tardi per chiedere voti per il figlio, De Pasquale rispondeva “no, non è tardi, tu già nel mio cuore eri, non c’è bisogno che me ne cerchi”.
Le mani sulle discoteche e sull’ortofrutticolo – La famiglia mafiosa dei barcellonesi avrebbe anche obbligato con minacce e intimidazioni le discoteche del litorale di Messina a usufruire dei propri servizi di sicurezza e interveniva nella gestione delle attività dei locali, condizionando il lavoro dei titolari delle discoteche e di imprenditori del settore ortofrutticolo. Diversi imprenditori sarebbero stati costretti a pagare il pizzo. Per gli inquirenti la famiglia barcellonese era “capace di esercitare un costante tentativo di infiltrazione in attività imprenditoriali”, sia nel settore della commercializzazione di prodotti ortofrutticoli – acquisendo imprese fittizie e imponendo con metodo mafioso la fornitura di alcuni prodotti – “sia nella conduzione del business dei locali notturni del litorale tirrenico nell’area di Milazzo, in cui, oltre a imporre i servizi di sicurezza mediante l’utilizzo di metodi coercitivi e intimidatori, l’associazione mafiosa è spesso intervenuta per condizionare i titolari nell’attività gestionale”.
Traffico di droga – L’inchiesta, coordinata dal procuratore messinese Maurizio De Lucia, ha fatto emergere anche che la cosca aveva interesse per il traffico di droga. I carabinieri hanno individuato due associazioni responsabili dello spaccio nelle piazze non solo di Barcellona Pozzo di Gotto, ma anche di altri comuni dell’area, tra cui Rodì Milici, Terme Vigliatore e Milazzo, arrivando anche a Messina. Nel corso delle indagini, a prova delle attività dei barcellonesi, sono stati sequestrati 19 kg di droghe di vario genere: cocaina, hashish e marijuana. Un ulteriore filone investigativo ha documentato inoltre una “filiera al dettaglio dello spaccio di sostanze stupefacenti del tipo marijuana, hashish, Lsd e cocaina, approvvigionate ad opera di due distinti gruppi criminali e distribuite nell’area di Milazzo, della Valle del Mela, del barcellonese e nelle Isole Eolie”.
Al clan mafioso inoltre sono attribuiti la detenzione di armi da fuoco, il ricorso a minacce, percosse e danneggiamenti ai danni di abitanti del luogo, svariati furti all’interno di abitazioni, un istituto scolastico, lidi balneari, un cantiere nautico e un’autorimessa, commessi per assicurarsi il denaro necessario per l’acquisto delle sostanze stupefacenti. Il clan barcellonese è storicamente radicato nel comune di Barcellona Pozzo di Gotto: l’esistenza delle attività mafiose è stata accertata nel corso degli anni con varie sentenze, all’esito di numerosi procedimenti penali – Mare Nostrum, Icaro, Vivaio, Pozzo, Gotha, Dinastia. I vari procedimenti, spiegano gli inquirenti, “ne hanno decimato le fila con l’arresto e la condanna di capi storici e gregari, documentandone la struttura associativa, il modus operandi e gli efferati delitti, nei vari periodi di riorganizzazione interna ed assestamento del sodalizio conseguenti ai numerosi interventi repressivi subiti”.