Ne L’Origine delle specie Darwin scrive: “In natura la minima differenza di struttura o costituzione può ben rovesciare l’equilibrata bilancia della lotta per la vita, ed essere così preservata. Come sono vacui i desideri e gli sforzi dell’uomo! com’è breve il suo tempo! e di conseguenza quanto saranno poveri i suoi prodotti, se paragonati a quelli accumulati dalla natura durante interi periodi geologici. Possiamo quindi restare ammirati dal fatto che le produzioni della natura siano di gran lunga più vere nei loro caratteri rispetto alle produzioni dell’uomo; che esse siano infinitamente meglio adattate alle più complesse condizioni di vita, e che evidentemente portino il marchio di una maestria di gran lunga superiore? E ancora: L’uomo seleziona solo per il proprio bene; la Natura solo per quello degli esseri di cui si prende cura.”
Da tempo immemorabile l’uomo cerca di “migliorare” le specie, incrociando individui con caratteristiche favorevoli, creando popolazioni artificiali molto differenti dalle varietà “selvatiche” da cui derivano. Le specie allevate per scopi utilitaristici possono essere selezionate per crescere più in fretta, per produrre carni migliori, o per altre caratteristiche convenienti per noi. La natura, però, ama la variabilità e, se lasciati a se stessi, gli organismi accuratamente selezionati possono incrociarsi tra loro e produrre discendenti che non hanno le caratteristiche da noi indotte. Se dovessimo raggiungere la “perfezione” nel soddisfare le nostre aspettative potremmo pensare di cercare di replicarla senza permettere che si “rovini” attraverso la variabilità. Il modo c’è: si chiama clonazione, e si fa da secoli con le piante. La clonazione non prevede riproduzione sessuale, con la fecondazione di ovuli da parte di spermatozoi. Nelle piante si può ottenere con semplici frammenti che portano a nuovi individui, identici geneticamente alla pianta da cui sono stati prelevati.
Esistono animali clonali, ad esempio i coralli, che possono propagarsi per frammenti. I gemelli monovulari sono il prodotto di clonazione. La cellula uovo fecondata inizia a dividersi per dare origine a un embrione pluricellulare. Ma se le prime due cellule si staccano, invece che restare attaccate l’una all’altra, si formeranno due individui geneticamente identici: un clone. La clonazione artificiale di mammiferi è stata ottenuta 25 anni fa con la nascita della pecora Dolly.
All’ovulo di una pecora si è asportato il nucleo, contenente metà delle informazioni necessarie per produrre un nuovo individuo. Gli ovuli, infatti, contengono metà del corredo cromosomico e di solito non possono dare origine a nuovi individui se non interviene uno spermatozoo a fornire il resto del corredo. Per avere Dolly, invece, si è presa una cellula con tutto il corredo genetico e le si è tolto il nucleo, impiantandolo nella cellula uovo denucleata. L’unione tra il corredo femminile e quello maschile, in questo caso, ha avuto luogo al momento della fecondazione dell’individuo che ha donato il nucleo alla cellula uovo denucleata. A questo punto la cellula uovo con il nucleo di un’altra cellula, prelevata da un individuo adulto le cui caratteristiche devono essere mantenute invariate, viene impiantata nell’utero di una pecora (un utero in affitto) dove ha luogo la gestazione. Dolly ha avuto tre madri: quella che ha prodotto l’ovulo denucleato, quella che ha donato il nucleo, e quella che l’ha partorita. Suo padre è il padre della pecora a cui si è prelevata la cellula il cui nucleo è stato impiantato nella cellula uovo.
Il processo non è facilissimo, nei mammiferi, e la nascita di Dolly ha fatto scalpore. Dolly, comunque, andò incontro a senescenza precoce e acquisì in breve tempo l’età biologica della pecora donatrice di nucleo. Un nucleo “vecchio” inserito in una cellula “nuova” porta a un individuo apparentemente giovane ma con una vita più breve. Un po’ come mettere un motore con duecentomila chilometri in una carrozzeria bella nuova.
La riproduzione sessuale è un miracolo della natura perché permette la variabilità su cui si fonda l’evoluzione per selezione naturale ma, prima di tutto, perché permette di avere individui giovani a partire da individui vecchi. Se si salta questo passaggio si propagano individui vecchi, e tutti uguali tra loro. Eliminare la variabilità, per conservare caratteristiche a noi favorevoli, espone le specie allevate o coltivate a serissimi rischi. Individui identici non esprimono la variabilità genetica con cui l’evoluzione “risolve” problemi generati, ad esempio, da patogeni. Se i milioni di olivi del Salento sono il prodotto di clonazione, l’arrivo di un batterio virulento (come Xylella) può sterminarli tutti. Con la variabilità il batterio diventerebbe l’agente selettivo che favorisce gli assetti genetici che non soffrono dei suoi attacchi.
La clonazione è una grande conquista scientifica, ma le considerazioni di Darwin sono attuali più che mai. Plasmare le specie per soddisfare i nostri desideri, alla lunga, produce individui di bassa qualità. Finché tutto va bene abbiamo grandi vantaggi, ma sappiamo che non è conveniente investire risorse in un solo tipo di azioni. Con la clonazione facciamo proprio questo. Come spesso avviene i grandi vantaggi nel breve termine si possono pagare cari nel medio e lungo termine.