Il suo nome compare nella richiesta di rinvio a giudizio formulata nei confronti dei 50 imputati dell’inchiesta “Waterfront” condotta dalla guardia di finanza, che, nel maggio 2020, aveva arrestato numerose persone. Secondo i magistrati sono state truccate 22 gare d’appalto, per un totale di circa 100 milioni di euro
Avrebbe messo a disposizione la sua azienda per consentire a un cartello occulto di imprese di condizionare una gara d’appalto al Comune di Polistena. La Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria vuole il processo per il deputato della Lega Domenico Furgiuele, accusato di turbativa d’asta in concorso. Il suo nome compare nella richiesta di rinvio a giudizio che il procuratore Giovanni Bombardieri, l’aggiunto Gaetano Paci e i pm Nicola De Caria e Giulia Scavello hanno formulato nei confronti dei 50 imputati dell’inchiesta “Waterfront” condotta dalla guardia di finanza che, nel maggio 2020, aveva arrestato numerose persone. Tra questi c’erano diversi imprenditori ritenuti espressione della famiglia mafiosa Piromalli che ha allungato i suoi tentacoli sul programma di interventi per lo sviluppo urbano che rientravano nel progetto “Waterfront”.
Il processo per tutti inizierà l’11 aprile in aula bunker davanti al giudice dell’udienza preliminare Francesco Campagna. Le indagini delle fiamme gialle di Reggio Calabria e dello Scico avevano consentito alla Dda di scoprire un vero e proprio “cartello criminale composto da imprenditori e pubblici ufficiali ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata alla turbativa d’asta aggravata dall’agevolazione mafiosa, frode nelle pubbliche forniture, corruzione ed altri gravi reati”.
Sono 22 le gare d’appalto, per un totale di circa 100 milioni di euro, che secondo i magistrati sono state truccate dagli imputati. Nel computer di uno di loro, gli investigatori hanno trovato tracce di accordi che riguardano la gara d’appalto per la realizzazione, nel Comune di Polistena, di un eliporto a supporto dell’ospedale “Santa Maria degli Ungheresi”. In particolare, all’interno di un file c’era una griglia in cui l’imprenditore Giorgio Morabito appuntava il suo “pronostico” delle gare d’appalto. E tra le ditte nominate c’era l’indicazione “mazzei”. Il riferimento era alla “Terina Costruzioni” e, in particolare all’imprenditore Salvatore Mazzei, già condannato per reati di mafia e suocero di Domenico Furgiuele.
La Terina Costruzioni, all’epoca, aveva come socio (con il 39% delle quote) Maria Concetta Mazzei, cognata del legale rappresentante e futuro deputato della Lega. Due mesi dopo essere stato eletto in Parlamento, Furgiuele cedette l’incarico all’altro cognato Armando Mazzei e questo è stato il motivo per il quale nei suoi confronti scattò solo l’avviso di garanzia. Non essendoci più le esigenze cautelari, infatti, pochi giorni prima del blitz in cui furono arrestati gli altri indagati, il giudice per le indagini preliminari revocò il divieto di fare impresa chiesto dalla Dda di Reggio Calabria per il deputato.
I pm, però, non hanno dubbi: in qualità di rappresentante legale della società “Terina”, l’uomo di Matteo Salvini in Calabria e una quindicina di imprenditori, nel maggio 2015 “con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso” e “con mezzi fraudolenti e collusioni, turbavano la gara d’appalto” indetta dal Comune di Polistena. Secondo la Dda, avrebbero messo “a disposizione le società – è scritto nel capo di imputazione – per la presentazione di un’offerta concordata con le altre imprese partecipanti al cartello, al fine di condizionarne il risultato a loro favore”.