Vladimir Putin ha rilanciato. E lo ha fatto in maniera decisa, per alcuni anche inattesa. Il riconoscimento, con conseguente invio di truppe (“contingente di pace”, le ha definite lui), delle repubbliche separatiste di Donetsk e Luhansk ha colto gli avversari di sorpresa. Anche alla luce delle sue parole di pochi giorni fa, quando aveva apparentemente respinto la proposta della Duma spiegando che tale azione sarebbe stata una violazione degli Accordi di Minsk. Ieri il capo del Cremlino ha deciso di cestinare definitivamente l’intesa del 2014, mai veramente rispettata, in realtà. L’obiettivo è chiaro: mettere il blocco occidentale all’angolo, evidenziare le sue divisioni interne e tentare di destabilizzarlo.

Quella di ieri è una mossa come altre alle quali il presidente russo ci ha già abituato. Lui, più di chiunque altro tra i leader mondiali, è capace di camminare sull’orlo del precipizio senza mai cadere, portare lo scontro diplomatico ai massimi livelli per trarne vantaggio. Ma senza arrivare, almeno per il momento, a un conflitto aperto. Quello non conviene a nessuno: non conviene a lui, che non ha la forza economica di sostenere ingenti spese militari, aggravate da pesanti sanzioni che inevitabilmente arriverebbero. Non conviene all’Europa che con Mosca intrattiene fruttuosi scambi commerciali che, in caso di sanzioni, verrebbero interrotti, senza dimenticare che uno stop alle forniture di gas in pieno inverno risulterebbe disastroso, anche dal punto di vista economico. Gli unici che possono permettersi di rimanere in vigile attesa sono gli Stati Uniti: non dipendono economicamente da Mosca e potrebbero trovare giovamento da un’ulteriore spaccatura tra Ue e Russia, con l’Unione che di conseguenza si riavvicinerebbe a Washington, anche per quanto riguarda le forniture di gas. Certo, dovrà però gestire l’inevitabile frammentazione della Nato, con diversi Paesi che non vedono di buon grado lo scontro aperto con la Federazione, Turchia e Germania in primis.

La decisione di portare le truppe di Mosca nel Donbass, comunque, non cambia la situazione di fatto dal 2014: i militari russi là c’erano già, a sostegno delle milizie separatiste, anche se in maniera informale, e il supporto economico di Mosca non è mai mancato. Ma la mossa ha un alto valore simbolico e ‘formale’: Putin sbatte in faccia la realtà all’Occidente e all’opinione pubblica, stracciando definitivamente gli Accordi di Minsk. Quei territori, seppur formalmente appartenenti all’Ucraina, sono di fatto sotto il suo controllo e adesso Mosca li riconosce.

Un’evoluzione che complica non poco la vita agli alleati Nato. A partire dalle risposte da mettere in campo. Intanto, c’è da capire come inquadrare l’azione militare russa e se sia possibile considerarla un’invasione. È il dubbio che, secondo una rivelazione del Washington Post, circola tra i corridoi della Casa Bianca che, subito dopo l’annuncio di Putin, ha infatti annunciato delle sanzioni, ma limitate agli investimenti nel Donbass, specificando che non si tratta di quelle severissime minacciate in caso di invasione del territorio ucraino ancora in mano a Kiev. “Se fossi stato consigliere di Putin – ha commentato l’analista Ian Bremmer al quotidiano americano – gli avrei detto di fare questo perché ora abbiamo un problema”. Il presidente russo “non è entrato” completamente in Ucraina, “l’obiettivo è non rendere facile la risposta dell’Occidente”.

Detto questo, anche nel caso in cui si decidesse di procedere con le sanzioni a Mosca, trovare un’intesa accettabile per tutti sarà un’impresa. Rimanendo entro i confini europei, la Germania è senza dubbio il Paese che più di tutti ha da perdere in caso di duri provvedimenti da parte degli alleati, visto che è quello che intrattiene gli scambi commerciali più proficui con Mosca. Si tratterebbe di un danno economico enorme per Berlino che, però, deve tenere conto delle posizioni degli altri membri della Nato, con Stati Uniti e Gran Bretagna in particolare che da settimane spingono per la strategia del pugno di ferro contro Mosca. Per mostrare disponibilità, il cancelliere Olaf Scholz ha intanto annunciato che le autorizzazioni al Nord Stream 2, non ancora in funzione, rimarranno congelate anche a causa dell’azione russa in Donbass. Una decisione più di facciata che dai risvolti concreti, visto che il gasdotto che collega direttamente Russia e Germania non è mai entrato in funzione. Anche l’Italia, però, ha molto da perdere da una guerra economica e commerciale con la Federazione, visti gli stretti rapporti commerciali e gli ottimi prezzi strappati sull’acquisto del gas. Uscendo dall’Europa, inoltre, non vanno dimenticate le relazioni molto strette tra Mosca e Ankara, anche in campo militare.

Situazioni, queste, che giocano a favore di Putin. Se l’Ue e la Nato si dividono sarà più facile per lui arrivare al tavolo delle trattative con una posizione forte. Resta da capire quanto la Russia sia in grado di sostenere le pressioni di eventuali sanzioni: la situazione economica interna non gli permette di affrontare a lungo una situazione di crisi, senza parlare dei costi derivanti da un eventuale conflitto nel caso in cui mettesse piede nei territori ancora in mano all’Ucraina. Il testa a testa con l’Occidente riporta il Paese, come lui voleva, a scontrarsi alla pari con i rivali della Nato, in una guerra di nervi che premierà chi riuscirà a rimanere più a lungo sulle sue posizioni.

Twitter: @GianniRosini

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