“Chiedo all’Italia di aiutarci a uscire da questo inferno, per noi non c’è futuro qui in Afghanistan, come giornalisti e come uomini”. L’appello al Fattoquotidiano.it di Jawad, giovane documentarista di Kabul, risale all’inizio del settembre scorso, all’indomani del ritorno al potere dei Talebani che ha spazzato via vent’anni di vano tentativo da parte dell’Occidente di ‘salvare’ l’Afghanistan. Ora, dopo una vera e propria odissea lunga cinque mesi e mezzo lui e sua sorella Yasmin (preferiamo utilizzare nomi di fantasia in quanto i due giovani sono richiedenti protezione internazionale e a rischio vita nel loro paese, dunque è opportuno non identificarli) sono finalmente arrivati in Italia con un permesso umanitario e non attraverso i ‘corridoi’ e la cosa, giuridicamente, cambia tutto e rappresenta un precedente importante.
Di lui e di un suo collega il Fattoquotidiano.it aveva raccolto il grido d’aiuto, ma mentre un suo collega giornalista era riuscito quasi subito a lasciare il Paese centrasiatico grazie al regista e produttore Khyber Khan, per Jawad e sua sorella Yasmin l’incubo si è concluso soltanto lunedì pomeriggio alle 13 con l’arrivo a Malpensa del volo partito da Islamabad via Doha: “Non ci credevamo più – tira un sospiro di sollievo Jawad -, più volte siamo stati sul punto di mollare tutto, rientrare a Kabul e aspettarci di tutto. L’attesa per il visto e la documentazione dall’Italia è stata infinita e logorante, mentre noi ci ascondevamo in Pakistan dove siamo stati costretti a fuggire per non finire nelle mani dei Talebani. Ho temuto soprattutto per la tenuta psicofisica di mia sorella, per i miei genitori che vivono a Kabul, preoccupati che non ce l’avremmo fatta. Ora dico grazie all’Italia e ai tanti che hanno contribuito alla nostra salvezza”.
Jawad, 25 anni e Yasmin, 23, ora sono in salvo a Milano e trascorsa la quarantena anti-Covid, obbligatoria per chi è in arrivo da Paesi di fascia E come il Pakistan, inizieranno la loro nuova vita in Italia. Afghanistan e Pakistan, il destino di fratello e sorella si è legato indissolubilmente ai due Paesi, tra fughe e nascondigli, visti prenotati e permessi ottenuti attraverso il pagamento del ‘pizzo’ che manda avanti la vita a quelle latitudini. Il tutto mentre in Italia gli avvocati dell’Asgi, l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, e una libera professionista milanese, Elena Orlandini che li sta ospitando, si facevano in quattro per salvare la vita a Jawad e Yasmin.
A gennaio, quando tutto sembrava risolto, un inghippo a livello giuridico sembrava potesse far saltare il piano: “È stata durissima ma adesso la gioia per questo risultato è immensa. La causa a Tribunale di Roma non è ancora conclusa, ma ciò che contava era portare i due ragazzi in Italia”. A parlare è Nazzarena Zorzella, esperta legale di Asgi e alla base del successo giudiziario di cui avevamo raccontato gli intoppi a inizio anno: “Oltre ad aver salvato Jawad e Yasmin e dato loro la chance di un futuro migliore, c’è l’aspetto determinante del modo in cui siamo riusciti a portarli in Italia – aggiunge l’avvocato Zorzella -. Non attraverso i ‘corridoi’ o con dei visti particolari, studio, turismo e così via, ma con un visto umanitario individuale. Abbiamo dimostrato che queste persone erano a rischio incolumità e qui in Italia potranno godere di un supporto per il loro inserimento e l’integrazione. Ciò rappresenta un precedente importante che potrebbe modificare i destini di tanti migranti che si trovano in pericolo in varie parti del mondo facendo valere i loro diritti. È una grande vittoria e una gioia non indifferente”.
In effetti all’inizio di gennaio il Tribunale di Roma aveva emesso un’ordinanza che dava il via libera all’accoglienza dei due afghani con un visto umanitario, ma l’Avvocatura dello Stato si era opposta, bloccando l’iter e rendendo loro la vita un infermo senza fine. Jawad e Yasmin si stavano nascondendo in Pakistan e aspettavano solo il via libera per salire su un aereo e lasciarsi alle spalle la paura: “Avevamo fatto richiesta del visto pakistano, ma le cose da quelle parti non sempre funzionano – aggiunge Jawad che poi riassume la follia degli ultimi mesi del 2021 -. Non potevamo girare per Islamabad, se la polizia ci avesse fermato avremmo rischiato di essere deportati in Afghanistan e tutto sarebbe saltato. A settembre siamo stati contatti da Elena Orlandini e poi dagli avvocati di Asgi per avviare il percorso che ci imponeva di scappare dal paese e andare in Pakistan. Per farlo siamo dovuti scendere a sud e attraversare il confine al valico di Spin Boldak: era l’8 dicembre scorso. Da Quetta invece di riprendere verso nord, lungo il confine reso pericoloso da decine di check-point, siamo andati a Karachi (la città portuale più popolosa del Pakistan, ndr.) e poi ci siamo rimessi in viaggio verso la capitale Islamabad. Lì abbiamo atteso il nostro destino”.
Sono state settimane di tensione, fino a quando dall’Italia, anche attraverso la sua ambasciata a Islamabad, e dall’Asgi è arrivato il via libera. Mancava un ultimo documento e un’ultima prova per fratello e sorella: dovevano rientrare in Afghanistan per vedersi apposto un francobollo sul loro visto. L’unica alternativa era attraverso il pericolosissimo passo Torkham lungo la Grand Trunk road che collega la provincia afghana di Nangarhar (area dov’è diffusa la presenza dell’Isk, Islamic State of Khorasan,l’Isis in Afghanistan) e quella pakistana del Khyber Pakhtunkhwa: “Il 16 febbraio scorso – è il ricordo fresco del 25enne giornalista -, pare una vita ma in realtà è appena una settimana fa, una volta entrati sul fronte afghano della frontiera abbiamo ottenuto quel documento, ci siamo rimessi in fila in mezzo a centinaia di persone e sperato che i Talebani non ci fermassero. In fondo basta pagare, tutto ha un costo. Negli ultimi cinque mesi solo per i permessi e i transiti ho dovuto sborsare 2mila dollari. La corruzione dilaga sempre più, i Talebani sono troppo stupidi per capire chi va dove e perché, mentre il Pakistan sta succhiando il sangue degli afghani in fuga dall’Emirato. Per noi contava solo superare quell’ostacolo e ce l’abbiamo fatta”. Jawad e sua sorella sono in Italia da poche decine di ore e già hanno iniziato a fare pratica con la lingua, le abitudini e la cultura, mangiato pasta e goduto il piacere di un gelato. Tutto questo non sarebbe stato possibile senza la determinante ostinazione di Elena Orlandini, libera professionista con interessi nel settore del turismo.
Una cittadina che si è presa a cuore le sorti di persone che neppure conosceva e l’inizio di questa storia ha dell’incredibile: “In quei giorni infernali di agosto seguivo l’evoluzione della crisi afghana attraverso i reportage del network di Khyber Khan che raccontava in tempo reale cosa stava accadendo a Kabul. Vidi in diretta la troupe giornalistica aggredita dai Talebani a colpi d’arma da fuoco (quell’episodio Jawad lo raccontò al Fatto.it, ndr.). Immagini scioccanti – spiega la Orlandini -. Mi sono apparsi come degli eroi perché raccontavano sul posto il dramma di un popolo, incuranti del pericolo. In quel preciso momento ho capito che dovevo fare qualcosa anche se non sapevo da dove partire e come muovermi. All’inizio ho preso tutto quasi alla leggera, poi le cose sono andate avanti e l’ansia è andata crescendo man mano che entravo in simbiosi con i ragazzi. Non potevo più tirarmi indietro, deluderli, anche se il compito sembrava improbo. A farmi coraggio attorno a me le tante persone che hanno collaborato, da Asgi ovviamente che ha seguito la causa, a Pangea che ha aiutato i ragazzi in Pakistan. L’ultimo mese è stato terribile, scandito da notti insonni e l’ansia del fallimento. Ora sono con me, li aiuterò a ripartire in questa seconda vita e una volta ottenuto lo status di rifugiato chiederemo il ricongiungimento familiare”.
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Afghanistan, fratello e sorella arrivati a Milano dopo odissea di 5 mesi: “Grazie all’Italia e a chi ha contribuito alla nostra salvezza”
Un documentarista e la sorella hanno ottenuto un permesso umanitario dopo aver trovato rifugio in Pakistan. "Non ci credevamo più più volte siamo stati sul punto di mollare tutto, rientrare a Kabul e aspettarci di tutto"
“Chiedo all’Italia di aiutarci a uscire da questo inferno, per noi non c’è futuro qui in Afghanistan, come giornalisti e come uomini”. L’appello al Fattoquotidiano.it di Jawad, giovane documentarista di Kabul, risale all’inizio del settembre scorso, all’indomani del ritorno al potere dei Talebani che ha spazzato via vent’anni di vano tentativo da parte dell’Occidente di ‘salvare’ l’Afghanistan. Ora, dopo una vera e propria odissea lunga cinque mesi e mezzo lui e sua sorella Yasmin (preferiamo utilizzare nomi di fantasia in quanto i due giovani sono richiedenti protezione internazionale e a rischio vita nel loro paese, dunque è opportuno non identificarli) sono finalmente arrivati in Italia con un permesso umanitario e non attraverso i ‘corridoi’ e la cosa, giuridicamente, cambia tutto e rappresenta un precedente importante.
Di lui e di un suo collega il Fattoquotidiano.it aveva raccolto il grido d’aiuto, ma mentre un suo collega giornalista era riuscito quasi subito a lasciare il Paese centrasiatico grazie al regista e produttore Khyber Khan, per Jawad e sua sorella Yasmin l’incubo si è concluso soltanto lunedì pomeriggio alle 13 con l’arrivo a Malpensa del volo partito da Islamabad via Doha: “Non ci credevamo più – tira un sospiro di sollievo Jawad -, più volte siamo stati sul punto di mollare tutto, rientrare a Kabul e aspettarci di tutto. L’attesa per il visto e la documentazione dall’Italia è stata infinita e logorante, mentre noi ci ascondevamo in Pakistan dove siamo stati costretti a fuggire per non finire nelle mani dei Talebani. Ho temuto soprattutto per la tenuta psicofisica di mia sorella, per i miei genitori che vivono a Kabul, preoccupati che non ce l’avremmo fatta. Ora dico grazie all’Italia e ai tanti che hanno contribuito alla nostra salvezza”.
Jawad, 25 anni e Yasmin, 23, ora sono in salvo a Milano e trascorsa la quarantena anti-Covid, obbligatoria per chi è in arrivo da Paesi di fascia E come il Pakistan, inizieranno la loro nuova vita in Italia. Afghanistan e Pakistan, il destino di fratello e sorella si è legato indissolubilmente ai due Paesi, tra fughe e nascondigli, visti prenotati e permessi ottenuti attraverso il pagamento del ‘pizzo’ che manda avanti la vita a quelle latitudini. Il tutto mentre in Italia gli avvocati dell’Asgi, l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, e una libera professionista milanese, Elena Orlandini che li sta ospitando, si facevano in quattro per salvare la vita a Jawad e Yasmin.
A gennaio, quando tutto sembrava risolto, un inghippo a livello giuridico sembrava potesse far saltare il piano: “È stata durissima ma adesso la gioia per questo risultato è immensa. La causa a Tribunale di Roma non è ancora conclusa, ma ciò che contava era portare i due ragazzi in Italia”. A parlare è Nazzarena Zorzella, esperta legale di Asgi e alla base del successo giudiziario di cui avevamo raccontato gli intoppi a inizio anno: “Oltre ad aver salvato Jawad e Yasmin e dato loro la chance di un futuro migliore, c’è l’aspetto determinante del modo in cui siamo riusciti a portarli in Italia – aggiunge l’avvocato Zorzella -. Non attraverso i ‘corridoi’ o con dei visti particolari, studio, turismo e così via, ma con un visto umanitario individuale. Abbiamo dimostrato che queste persone erano a rischio incolumità e qui in Italia potranno godere di un supporto per il loro inserimento e l’integrazione. Ciò rappresenta un precedente importante che potrebbe modificare i destini di tanti migranti che si trovano in pericolo in varie parti del mondo facendo valere i loro diritti. È una grande vittoria e una gioia non indifferente”.
In effetti all’inizio di gennaio il Tribunale di Roma aveva emesso un’ordinanza che dava il via libera all’accoglienza dei due afghani con un visto umanitario, ma l’Avvocatura dello Stato si era opposta, bloccando l’iter e rendendo loro la vita un infermo senza fine. Jawad e Yasmin si stavano nascondendo in Pakistan e aspettavano solo il via libera per salire su un aereo e lasciarsi alle spalle la paura: “Avevamo fatto richiesta del visto pakistano, ma le cose da quelle parti non sempre funzionano – aggiunge Jawad che poi riassume la follia degli ultimi mesi del 2021 -. Non potevamo girare per Islamabad, se la polizia ci avesse fermato avremmo rischiato di essere deportati in Afghanistan e tutto sarebbe saltato. A settembre siamo stati contatti da Elena Orlandini e poi dagli avvocati di Asgi per avviare il percorso che ci imponeva di scappare dal paese e andare in Pakistan. Per farlo siamo dovuti scendere a sud e attraversare il confine al valico di Spin Boldak: era l’8 dicembre scorso. Da Quetta invece di riprendere verso nord, lungo il confine reso pericoloso da decine di check-point, siamo andati a Karachi (la città portuale più popolosa del Pakistan, ndr.) e poi ci siamo rimessi in viaggio verso la capitale Islamabad. Lì abbiamo atteso il nostro destino”.
Sono state settimane di tensione, fino a quando dall’Italia, anche attraverso la sua ambasciata a Islamabad, e dall’Asgi è arrivato il via libera. Mancava un ultimo documento e un’ultima prova per fratello e sorella: dovevano rientrare in Afghanistan per vedersi apposto un francobollo sul loro visto. L’unica alternativa era attraverso il pericolosissimo passo Torkham lungo la Grand Trunk road che collega la provincia afghana di Nangarhar (area dov’è diffusa la presenza dell’Isk, Islamic State of Khorasan,l’Isis in Afghanistan) e quella pakistana del Khyber Pakhtunkhwa: “Il 16 febbraio scorso – è il ricordo fresco del 25enne giornalista -, pare una vita ma in realtà è appena una settimana fa, una volta entrati sul fronte afghano della frontiera abbiamo ottenuto quel documento, ci siamo rimessi in fila in mezzo a centinaia di persone e sperato che i Talebani non ci fermassero. In fondo basta pagare, tutto ha un costo. Negli ultimi cinque mesi solo per i permessi e i transiti ho dovuto sborsare 2mila dollari. La corruzione dilaga sempre più, i Talebani sono troppo stupidi per capire chi va dove e perché, mentre il Pakistan sta succhiando il sangue degli afghani in fuga dall’Emirato. Per noi contava solo superare quell’ostacolo e ce l’abbiamo fatta”. Jawad e sua sorella sono in Italia da poche decine di ore e già hanno iniziato a fare pratica con la lingua, le abitudini e la cultura, mangiato pasta e goduto il piacere di un gelato. Tutto questo non sarebbe stato possibile senza la determinante ostinazione di Elena Orlandini, libera professionista con interessi nel settore del turismo.
Una cittadina che si è presa a cuore le sorti di persone che neppure conosceva e l’inizio di questa storia ha dell’incredibile: “In quei giorni infernali di agosto seguivo l’evoluzione della crisi afghana attraverso i reportage del network di Khyber Khan che raccontava in tempo reale cosa stava accadendo a Kabul. Vidi in diretta la troupe giornalistica aggredita dai Talebani a colpi d’arma da fuoco (quell’episodio Jawad lo raccontò al Fatto.it, ndr.). Immagini scioccanti – spiega la Orlandini -. Mi sono apparsi come degli eroi perché raccontavano sul posto il dramma di un popolo, incuranti del pericolo. In quel preciso momento ho capito che dovevo fare qualcosa anche se non sapevo da dove partire e come muovermi. All’inizio ho preso tutto quasi alla leggera, poi le cose sono andate avanti e l’ansia è andata crescendo man mano che entravo in simbiosi con i ragazzi. Non potevo più tirarmi indietro, deluderli, anche se il compito sembrava improbo. A farmi coraggio attorno a me le tante persone che hanno collaborato, da Asgi ovviamente che ha seguito la causa, a Pangea che ha aiutato i ragazzi in Pakistan. L’ultimo mese è stato terribile, scandito da notti insonni e l’ansia del fallimento. Ora sono con me, li aiuterò a ripartire in questa seconda vita e una volta ottenuto lo status di rifugiato chiederemo il ricongiungimento familiare”.
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Da ipotetico regista della pace a ventre molle dell’alleanza. Sui media esteri la parabola di Draghi nella vicenda Ucraina
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Da Il Fatto Quotidiano in Edicola
Meloni a Washington, ma niente bilaterale col presidente Usa. Solo un breve saluto (e paura dei dazi)
Roma, 21 gen. (Adnkronos/Labitalia) - "Il turismo sostenibile è un nuovo modo di viaggiare e una valida alternativa alle classiche destinazioni turistiche, che privilegia la scoperta dei territori e si pone come obiettivo di limitare il più possibile l’impatto sull’ambiente, favorendo la conoscenza diretta di nuove culture, tradizioni, comunità locali e contesti naturalistici di grande interesse. Secondo lo studio di Federimprese Europa in questi ultimi anni, sono sempre di più i turisti che scelgono il turismo sostenibile per organizzare viaggi ed esperienze in tutto il mondo e sicuramente questo nuovo approccio, più etico e responsabile, sarà in ulteriore forte crescita ed espansione anche in futuro". Così in una nota Federimprese Europa.
Per questo motivo Federimprese Europa "ha promosso un tavolo tecnico tra imprese attive nel settore turistico e rappresentanti di enti locali al fine di redigere delle proposte per accrescere questa importante realtà del turismo sostenibile, poiché rappresenta non solo uno sviluppo del made in Italy ed una crescita economica per piccole imprese operanti nei piccoli borghi che grazie al turismo possono ritornare a fiorire. Ma turismo sostenibile è anche preservare le antiche usanze, tramandando ai posteri quelle che sono le attività del passato coinvolgendo anche i giovani in sagre, feste di paese e quant'altro, rivivendo esperienze uniche che con l'avvento della tecnologia stanno scomparendo", spiega ancora.
"L’Organizzazione mondiale del turismo, Unwto, definisce il turismo sostenibile come un innovativo modo di viaggiare ed esplorare i territori, che soddisfa i bisogni dei viaggiatori, delle comunità locali, dell’ambiente e delle aziende, salvaguardando non solo gli equilibri ambientali, ma anche quelli sociali ed economici, offrendo allo stesso tempo nuove opportunità di sviluppo a lungo termine e per il futuro delle prossime generazioni", aggiunge ancora.
"Le comunità ospitanti -spiega la nota- acquistano così notevole importanza e diventano protagoniste della promozione del territorio con la creazione di rapporti positivi d’interazione con l’industria del turismo e i turisti stessi. Gli obiettivi principali del turismo sostenibile sono la riduzione dell’impatto delle attività turistiche sull’ambiente e le persone, e la salvaguardia dei territori sia dal punto di vista naturalistico, sia sociale ed economico. Le proposte che verranno redatte al tavolo tecnico verteranno su tre princìpi fondamentali: la protezione dell’ambiente e delle sue caratteristiche, la tutela del patrimonio artistico, culturale e tradizionale dei luoghi di destinazione e l’adozione di un approccio che incentivi la crescita di progetti sostenibili, l’inclusione sociale, la condivisione del benessere economico e la creazione di opportunità di lavoro a condizioni adeguate e vantaggiose", sottolinea ancora.
"Infine una peculiarità del turismo sostenibile è il cosiddetto turismo enogastronomico che viene praticato nei piccoli borghi interni, che avvicina i turisti ai processi di produzione e raccolta dei prodotti per poi coinvolgerli nei processi di trasformazione, come ad esempio la vendemmia , la lavorazione delle olive oer ottenere olio Extravergine. "Il nostro obiettivo è dare supporto attraverso i nostri esperti in campo legislativo e progettuale , redigendo proposte innovative , presentando progetti che possano incrementare la produttività di piccole realtà imprenditoriali e salvaguardare le antiche tradizioni grazie al supporto degli enti locali", conclude il presidente nazionale di Federimprese Europa Mary Modaffari.
Roma, 20 gen. (Adnkronos) - "Il Jobs Act è una legge che ha creato oltre un milione di posti di lavoro, più della metà a tempo indeterminato, e che ha introdotto tutele fondamentali come l’eliminazione delle dimissioni in bianco. La decisione della Corte Costituzionale che dà il via al referendum relativo al Jobs Act ci trova quindi pronti: spiegheremo ai cittadini quanto sarebbe sbagliato cancellare queste conquiste che creano posti di lavoro, sviluppo e tutele". Lo scrive sui social il senatore Enrico Borghi, capogruppo al Senato di Italia Viva.
"Quanto al referendum sull’autonomia, accettiamo il verdetto della Consulta che dopo la precedente pronuncia sulla legge Calderoli appariva pressoché scontata. Ogni modifica sull’autonomia differenziata passerà dal Parlamento, e lì ci faremo trovare pronti e determinati".
Roma, 20 gen. (Adnkronos) - "Le mie più sentite congratulazioni al presidente Trump per l’inizio del suo secondo mandato. Il popolo americano ha fatto una scelta chiara, che riflette l’impegno per la crescita economica, la sicurezza e la sovranità nazionale”. Lo scrive su X il Co-Presidente del gruppo dei conservatori al Parlamento europeo, Nicola Procaccini dí Fratelli d’Italia.
“Noi dell'Ecr condividiamo molte delle priorità delineate dal presidente Trump: contrastare l'immigrazione clandestina, garantire comunità più sicure, tagliare le tasse e la burocrazia e ripristinare la competitività economica. Queste non sono solo priorità americane, ma anche europee”.
Roma, 20 gen. (Adnkronos) - "La Sardegna, con il nostro ricorso accolto dalla Corte lo scorso novembre, ha difeso la sua specialità e contrastato una legge iniqua. Una legge che la Corte stessa, ascoltando le preoccupazioni delle Regioni promotrici, ha già demolito e svuotato perché ci toglieva risorse e ci condannava a restare indietro. Se il capogruppo della Lega Veneta ha dichiarato recentemente che il Veneto vale più della Sardegna, per farci capire cosa si intende per differenziata, noi invece continueremo a difendere con le unghie e con i denti le risorse e le opportunità che le spettano”. Così la presidente della Regione Sardegna Alessandra Todde.
Roma, 20 gen. (Adnkronos) - “Sul referendum sulla cittadinanza daremo battaglia nel nome dell’estensione dei diritti e per superare una legislazione particolarmente arretrata. Si tratta di un referendum promosso da un vasto arco di soggetti, tra cui numerose associazioni dei nuovi cittadini, persone a cui per troppo tempo è stata tolta la voce. Lotteremo al loro fianco”. Così in una nota Pierfrancesco Majorino della segreteria del Partito Democratico, responsabile Immigrazione.
Washington, 20 gen (Adnkronos) - Non è stato un blitz come quello di Mar a lago, rivelatosi determinante per la liberazione di Cecilia Sala, ma una intera giornata quella che Giorgia Meloni ha dedicato, per la seconda volta in un mese, a Donald Trump. La premier non è voluta mancare all'inauguration day del presidente americano, sottolineando quanto sia importante "dare una testimonianza della volontà di continuare e rafforzare" la relazione Italia-Usa.
E questa "testimonianza" la premier l'ha data plasticamente già di primo mattino, quando insieme alla famiglia Trump, a quella del vice presidente Vance e pochi altri, ha preso parte alla messa di 'benedizione' del neo commander in chief alla chiesa episcopale di st John, proprio di fronte alla Casa Bianca. Poi il trasferimento alla Rotonda del Campidoglio, a Capitol hill, per il giuramento spostato al chiuso a causa dell'ondata di gelo che ha stretto Washington. Con lei, oltre ai diplomatici, la fida Patrizia Scurti in delegazione.
Meloni siede sotto lo sguardo della statua di Abramo Lincoln, nei posti riservati ai capi di Stato e di governo invitati da Trump. Una sparuta elite che comprende la presidente del Consiglio (unica leader Ue) e, tra i pochi altri, il presidente argentino Javier Milei, con cui Meloni chiacchiera a lungo inquadrati più volte dalle telecamere di Fox news, che non ha perso una battuta della giornata-evento.
(Adnkronos) - A pochi passi, i 'big tech Ceo' che Trump ha voluto come ospiti vip della cerimonia e che l'hanno sostenuto nel suo cammino di ritorno alla sala ovale: Tim Cook, Jeff Bezos, Sandor Picahi, Sam Altman, Mark Zuckenberg e ovviamente Elon Musk. Sui social, è il capo delegazione di FdI-Ecr all'Europarlamento Carlo Fidanza, a Washington con un piccola pattuglia di parlamentari italiani ospiti dei Repubblicani Usa, a dare il senso politico della 'foto di Capitol hill' della Meloni: "La nostra presidente è ormai riconosciuta da tutti come l’interlocutrice privilegiata di Trump in Europa".
Nella sua valutazione del Trump day, Meloni al mattino è più ecumenica: "Penso sia molto, molto importante per una nazione come l’Italia che ha rapporti estremamente solidi con gli Stati Uniti dare una testimonianza della volontà di continuare e se mai rafforzare quella relazione in un tempo nel quale le sfide sono globali e interconnesse", spiega prima di lasciare l'albergo.
Più tardi su X augura buon lavoro a Trump e assicura: "Sono certa che l’amicizia tra le nostre Nazioni e i valori che ci uniscono continueranno a rafforzare la collaborazione tra Italia e Usa", per poi sottolineare: "L’Italia sarà sempre impegnata nel consolidare il dialogo tra Stati Uniti ed Europa, quale pilastro essenziale per la stabilità e la crescita delle nostre comunità".
(Adnkronos) - Per il ministro dell'Ue Tommaso Foti, la missione di Meloni a Washington "conferma il ruolo cruciale che, nel prossimo futuro, la nostra Nazione intende giocare nelle relazioni transatlantiche, ponendosi come ponte strategico tra Europa e America".
In questo contesto, e anche per il rigido protocollo che governa l'insediamento del presidente americano, si stempera anche l'attesa per un faccia a faccia Meloni-Trump, prima auspicato e poi annunciato alla vigilia anche da Fidanza. "Non era previsto, non era il contesto e non ci sarà problema a farlo in futuro", è il senso del ragionamento dell'entourage della premier. Così, direttamente lasciando ad un certo punto le lunghe celebrazioni, Meloni può salutare e tornare subito in Italia.
Roma, 20 gen. (Adnkronos) - "La decisione della Consulta che ha sancito l’ inammissibilità del referendum abrogativo sull’autonomia conferma che la riforma scritta dal ministro Calderoli è, come sapevamo, coerente e corretta nel rispetto delle previsioni costituzionali. Per cui avanti con l’iter della riforma e con i negoziati con le regioni che hanno già richiesto le prime materie ‘non Lep’, come la Lombardia. Avanti tutta con l’autonomia!”. Lo dichiara il segretario regionale della Lega Lombarda Salvini Premier e presidente dei senatori della Lega Salvini Premier, senatore Massimiliano Romeo.