I familiari del 32enne avranno giustizia solo sotto forma di un risarcimento pecuniario. Ma non ci sarà una condanna a pena detentiva nei confronti di Marco Pegoraro, perché la Procura della Repubblica di Rovigo non aveva presentato ricorso contro l’assoluzione in primo grado del militare
I familiari di Mauro Guerra, 32enne ucciso da un colpo di pistola sparato da un maresciallo dei carabinieri durante un trattamento sanitario obbligatorio, avranno giustizia solo sotto forma di un risarcimento pecuniario. Ma non ci sarà una condanna a pena detentiva nei confronti di Marco Pegoraro, perché la Procura della Repubblica di Rovigo non aveva presentato ricorso contro l’assoluzione in primo grado del militare. Così il processo, pur nello scenario di un’accusa per eccesso colposo di legittima difesa, ha avuto un epilogo dimezzato.
La sentenza è stata emessa dalla Corte d’Appello di Venezia che ha riconosciuto l’esistenza del reato, con conseguente condanna al risarcimento e con una provvisionale di 260mila euro. Sono state così accolte le richieste formulate dai difensori di parte civile, gli avvocati Fabio Pinelli e Alberto Berardi.
Guerra era stato ucciso con un colpo di pistola il 29 luglio 2015 in un campo di grano a poche centinaia di metri da casa, a Carmignano di Sant’Urbano, in provincia di Padova. Stava fuggendo da un trattamento sanitario non autorizzato a cui i carabinieri della stazione locale volevano sottoporlo. Il maresciallo dei carabinieri si era giustificato sostenendo di essere stato costretto a sparare per salvare il brigadiere Stefano Sarto, dopo che questi era stato colpito alla testa, alla mascella e alle costole. La reazione di Guerra al Tso era stata violenta, si era dato alla fuga, poi si era divincolato per evitare di essere bloccato e portato in ospedale.
Nella sentenza di primo grado, emessa il 15 dicembre 2018, il giudice Raffaele Belvederi aveva sostenuto che Pegoraro fosse stato costretto a sparare anche se poi aveva accusato i carabinieri di avere tenuto un comportamento arbitrario e illegittimo. Nel processo di secondo grado il procuratore generale ha chiesto l’assoluzione dell’imputato, spiegando che il carabiniere non aveva mirato alla testa di Guerra. Gli avvocati di parte civile, al contrario, hanno sostenuto che non si era creata alcuna situazione di pericolo e quindi i carabinieri avrebbero anche potuto lasciar fuggire, temporaneamente, Guerra. Inoltre il brigadiere aggredito non era in pericolo di vita. Infine, i carabinieri che avevano circondato Guerra erano a pochi metri di distanza e avrebbero potuto neutralizzare l’uomo anche senza ricorrere alle armi.
Guerra era laureato in Economia e commercio e stava per diventare commercialista. Il provvedimento di Tso avrebbe dovuto essere autorizzato dai sanitari e dal sindaco. Al loro arrivo i militari trovarono Guerra a torso nudo. L’uomo, avendo capito che non c’era un provvedimento scritto, si era dato alla fuga e aveva colpito il brigadiere. Poi era stato raggiunto da un colpo di pistola all’addome.
Dopo la sentenza, Giusy Businaro, la mamma di Mauro, ha dichiarato: “Non so neanche cosa dire, sono stata abituata ad avere mazzate troppo grandi in queste aule… che io chiamavo aule di ingiustizia, perché l’ingiustizia è venuta fuori tutta. Sono uscita perché non ero più in grado di reggere l’ennesima pugnalata alle spalle”. Invece una condanna c’è stata. “Ma non è una condanna che mi apre il cuore, che mi consente di dire che a Mauro è stata fatta giustizia. Mauro ha pagato con la vita gli errori di questi uomini, di quell’uomo… Lui avrà la sua libertà, potrà continuare a fare la sua vita, ad avere un lavoro. Invece per Mauro è finito tutto e per noi non è finito niente”.