Il reddito di cittadinanza “ha rappresentato un’ancora di salvezza per 1,8 milioni di famiglie“, di cui poco più di un milione (il 55%), invece, ha iniziato a percepire il sostegno durante la pandemia. “Ma va notato che circa il 46% dei percettori risultano occupati, con impieghi tali da non consentire loro di emergere dal disagio”: così Sebastiano Fadda, presidente dell’Inapp, commenta il policy brief dedicato al reddito di cittadinanza. Dal quale emerge una prima conseguenza: “Basterebbe migliorare le condizioni retributive di questi lavoratori per quasi dimezzare immediatamente l’attuale numero dei percettori del reddito di cittadinanza”.

L’analisi dell’Inapp evidenzia la grande debolezza e parcellizzazione del mercato del lavoro italiano, che emerge anche dai motivi addotti per il rifiuto delle proposte di lavoro pervenute ai beneficiari: il 53,6% indica l’attività non in linea con le competenze possedute. Il report conferma ancora una volta la difficoltà dei servizi sociali e dei centri per l’impiego a prendere incarico i beneficiari: solo il 39,3% ha dichiarato di essere stato contattato. “Il reddito di cittadinanza si è dimostrato una misura utile per fronteggiare la diffusa povertà, notevolmente peggiorata sotto l’impatto del coronavirus, ma il perimetro della popolazione in condizione di vulnerabilità è più ampio“, avverte inoltre Fadda. I numeri dicono che circa 1,6 milioni di famiglie intendono fare richiesta della misura di sostegno a breve e 1,4 milioni di nuclei si sono visti bocciare la domanda di sostegno.

La “modesta qualità” degli impieghi proposti – L’indagine Plus è stata realizzata dall’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche su un campione di oltre 45mila individui dai 18 ai 74 anni. Una prima analisi ha riguardato le ragioni per cui i beneficiari non accettano una proposta di lavoro. Il 53,6% indica l’attività non in linea con le competenze possedute, il 24,5% attività non in linea con il proprio titolo di studio, l’11,9% lamenta una retribuzione troppo bassa. Solamente il 7,9% indica la necessità di spostarsi come causa prevalente del rifiuto. “Al di là dell’identificazione dell’offerta congrua, quanto mai difficile da definire – scrivono i ricercatori dell’Inapp – il rifiuto per circa il 78% dei rispondenti beneficiari di rdc è attribuito alla modesta qualità delle proposte ricevute”.

Le carenze dei centri per l’impiego e dei Comuni – La presa in carico dei beneficiari del reddito di cittadinanza da parte dei centri per l’impiego o dai servizi sociali ha riguardato una quota troppo bassa di essi, sottolinea ancora l’Inapp. Solo il 39,3% ha dichiarato di essere stato contattato dai centri per l’impiego e il 32,8% dai Comuni. Ma di quel 40% circa contattato dai centri per l’impiego, a sua volta, solo il 40% ha sottoscritto il patto per il lavoro, e solo alla metà di questi è stata avanzata una proposta di lavoro (peraltro rifiutata dal 56% degli stessi, con le motivazioni sopra descritte). Invece, tra coloro che sono stati contattati dai Comuni, solo il 30% ha sottoscritto un patto per l’inclusione sociale, e tra questi solo il 20% ha partecipato a progetti di utilità collettiva. Per l’Inapp emerge la difficoltà dei servizi sociali e dei centri per l’impiego a prendere incarico i beneficiari e quella degli enti locali ad attivare progetti di utilità collettiva (puc).

I benefici del reddito di cittadinanza – È importante considerare i benefici di carattere psico-sociale percepiti dai fruitori del reddito di cittadinanza: il 64% dichiara di avere maggior fiducia nelle istituzioni, il 63% di aver avuto più tempo per la cura dei figli, il 61% di aver migliorato la sua condizione economica, il 58% ha fatto volontariato, il 54% percepisce un miglioramento della sua salute psico-fisica e, in generale, uno su due dichiara di aver aumentato la fiducia in sé stesso, nel futuro, nei rapporti con gli altri e nella classe politica.

“Basterebbe migliorare le condizioni retributive per dimezzare i percettori” – “Si potrebbe dire – spiega Sebastiano Fadda – che basterebbe migliorare le condizioni retributive e lavorative di questi lavoratori per quasi dimezzare immediatamente l’attuale numero dei percettori del reddito di cittadinanza”. Infatti, fa notare il presidente Inapp, “anche la grande domanda potenziale rivela un 49,8% di simili ‘working poors‘ e ciò conferma la necessità di osservare il mercato del lavoro ben oltre il semplice aspetto del numero degli occupati per spingere analisi e interventi sul tema della qualità del lavoro, delle retribuzioni, della produttività e della riduzione della precarietà“. Una parte della popolazione, avverte ancora Fadda, resta esclusa dal reddito di cittadinanza “in ragione degli stessi requisiti formali di accesso o per la scarsa informazione sulla policy. Inoltre, gli strumenti che al rdc sono stati affiancati per promuovere un miglior inserimento lavorativo e una maggiore inclusione sociale, stando ai dati sopracitati, si sono mostrati poco efficaci”. “E’ urgente -conclude – guardare alle cause per giungere ad una ristrutturazione organica sia del sistema delle politiche attive del lavoro sia dei servizi sociali ed evitare che anche gli ultimi due programmi lanciati in proposito (Gol e Fondo nuove competenze) si rivelino poco efficaci“.

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