L'imprenditore, arrestato in pieno lockdown e scarcerato dopo un mese, era stato condannato in primo grado per la turbativa d'asta, ma assolto per l’altro capo di imputazione: l’inadempimento nelle pubbliche forniture. Stesso verdetto in secondo grado. L'imputato ha sempre affermato che il suo operato era finalizzato a “fare del bene al Paese in un momento drammatico”
Nell’aprile del 2020, in piena pandemia, l’arresto. Oggi la Cassazione ha assolto l’imprenditore Antonello Ieffi, accusato di turbativa d’asta nell’ambito di un’inchiesta della Procura di Roma su un lotto di gara Consip da 15,8 milioni euro per l’acquisto e la fornitura di 3 milioni di mascherine mai arrivate in Italia.
I supremi giudici della VI sezione penale hanno annullato senza rinvio “perché il fatto non sussiste” la sentenza di appello impugnata dai difensori dell’imprenditore. Ieffi, arrestato in pieno lockdown nazional e scarcerato dopo un mese, era stato condannato in primo per la turbativa d’asta, ma assolto per l’altro capo di imputazione: l’inadempimento nelle pubbliche forniture. Come nel secondo grado. “Si tratta di una decisione rispetto alla quale esprimo ampia soddisfazione personale e professionale – afferma l’avvocato Carlo Bonzano – per avere la Suprema Corte integralmente accolto i motivi di ricorso proposti e avendo peraltro assunto solo da ultimo la difesa di Ieffi proprio nel giudizio di legittimità”.
Per la procura, che in primo grado aveva chiesto 5 anni di carcere, l’indagine era nata in “un momento in cui l’Italia era a terra, in emergenza, c’erano le file fuori dalle farmacie per cercare le mascherine e sarebbe stato davvero importante riuscire ad averle in quel momento ma il vero scopo dell’operazione portata avanti da Ieffi era ottenere un anticipo di pagamento da Consip, che però da accordo non poteva essere chiesto”. I difensori dell’imprenditore, invece, avevano sottolineato come il loro cliente fosse stato assolto per il secondo capo di imputazione, con la formula “perché il fatto non sussiste”. La conclusione della difesa era che le mascherine quindi c’erano. Nell’ordinanza di custodia cautelare il giudice per le indagini preliminari Valerio Savio definiva, invece, quell’affare “una puntata d’azzardo giocata sulla salute pubblica”. Nel corso del processi l’imprenditore si è difeso affermando che il suo operato era finalizzato a “fare del bene al Paese in un momento drammatico”.