A pochi chilometri dal fronte più caldo, quello del Donbass, la gente del posto fa le scorte. Ci sono code di un’ora ai distributori di benzina, lunghe fila alle farmacie e ai bancomat. Tutti vogliono prelevare contante perché i bombardamenti potrebbero mettere fuori uso le linee elettriche e mandare in tilt gli sportelli, ma anche internet e la telefonia. A Severodonetsk, in quella parte di Ucraina sudorientale che cerca di resistere all’avanzata russa proveniente da Donetsk e Luhansk e dove l’artiglieria ha colpito pesante, si respira un misto di rabbia e desolazione. C’è chi si dice pronto a combattere, chi pensa a scappare, chi se la prende con il mondo che non offre aiuto concreto. Di certo, nessuno è pronto ad accogliere a braccia aperte l’invasore.

“Ho 18 anni – spiega Andrey – e se mi chiameranno andrò a combattere. Non capisco molto delle questioni internazionali ma sono ucraino e farò il mio dovere”. In troppi hanno stereotipato queste popolazioni del Donbass come filo-russe, ma parlare la lingua di Mosca non significa appoggiarne la politica aggressiva, anzi: “C’è una sola cosa che vogliamo ed è la pace”, racconta Sergey, che sembra un ragazzino ma ha già moglie e figli. “Non so se e quando i russi arriveranno qui, forse anche a breve, e non ho ancora deciso cosa farò. Forse ci trasferiremo con la famiglia nell’Ucraina occidentale, ma se rimarremo qui non potremo mai familiarizzare con chi ha deciso di invaderci. Personalmente non ce l’ho con i russi, anzi, ma con i loro governanti che ci hanno ridotto in queste condizioni”.

Una donna, Olga, non gradisce la nostra richiesta d’intervista. “Di dove siete? Italiani? Lì da voi quasi tutti i giornali sono filo-russi e non ho voglia di parlare. Spiegateci perché nessuno è intervenuto, perché l’Europa chiacchiera e non ci aiuta e gli americani hanno fatto promesse e non le hanno mantenute. È colpa di tutti se l’Ucraina è in questo stato”. Un uomo forse alterato dall’alcol le replica con asprezza, la signora risponde e ne nasce un alterco. La tensione è palpabile e le due anime del Donbass fanno fatica a trovare un linguaggio comune, ma una cosa è evidente: i giovani sono quasi tutti pro-Kiev mentre quei pochi che manifestano apertamente simpatie per Putin sono i più anziani, coloro che rimpiangono quell’Unione Sovietica che garantiva qualche sicurezza in più. Mikhail invece è il più spavaldo: si concede ai taccuini, sfodera amabilmente i suoi tatuaggi ed il suo ottimo inglese, sostiene perentorio che “con i russi in casa non ci vivrò mai e se arriveranno qui me ne andrò io”. Infine, sorridendo con curiosità, ci chiede chi vincerà lo scudetto in Italia e per quale squadra facciamo il tifo. Anche in guerra c’è chi riesce a sdrammatizzare.

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