“Presidente Draghi, è il tempo di agire!!”, con questa veemente esortazione le donne del Pd si rivolgono al premier chiedendo un intervento sulla legge elettorale siciliana, chiedendo cioè “di esercitare il potere sostitutivo dello Stato, come previsto dall’art. 120 comma 2 della Costituzione al fine di uniformare la legge elettorale siciliana al dettato Costituzionale”. Un intervento per imporre una legge elettorale che preveda la doppia preferenza. Perché “al principio di “democrazia paritaria” devono infatti uniformarsi anche le regioni a statuto speciale, come ha più volte chiarito la giurisprudenza amministrativa e costituzionale e come ribadiscono le norme dell’Unione Europea e quelle internazionali ratificate dall’Italia”. Così scrivono le democratiche – tra cui ex parlamentari ed ex consigliere regionali – in una lettera rivolta al presidente del consiglio, alla ministra per le Pari opportunità, Elena Bonetti e alla ministra per gli Affari regionali, Mariastella Gelmini.
Prossima alle elezioni, la Sicilia, non ha, infatti, una legge elettorale che preveda la doppia preferenza di genere per l’elezione all’Assemblea regionale “in palese violazione degli articoli 3, 51, 117 della Costituzione e dell’articolo 3 dello Statuto siciliano”, sottolineano. Chiedendo un intervento del governo centrale prima che sia troppo tardi, perché “a novembre 2022 si svolgeranno le elezioni per il rinnovo dell’Ars ed alle donne siciliane verrà impedito, ancora una volta, la parità di accesso alle cariche elettive”. Così scrivono le democratiche che in Ars al momento non hanno alcuna rappresentanza: il gruppo Pd è composto da soli uomini unico gruppo tra quelli più numerosi a non contare donne. Come i dem fanno anche Popolari e autonomisti insieme a Sicilia futura, ma i primi contano 4 rappresentanti e gli ultimi 3, contro i 7 del Partito democratico. Peggio va se si contano le donne al governo: Daniela Baglieri è, infatti, l’unica a sedere tra i banchi del governo assieme ad 11 colleghi tutti maschi. La rappresentanza politica in Sicilia ha, d’altronde, una storia dall’impronta nettamente maschia. Dopo la prima donna eletta nel 1947, poi nominata assessora – la messinese Paola Verducci Tocco -, si dovette attendere il 2001 per rivedere una donna nelle file del governo regionale.
Sempre mosche bianche – tranne che nel periodo in cui fu presidente Rosario Crocetta che tra i vari rimpasti ne nominò 17 – la rappresentanza nel governo regionale dovrà però essere garantita al 30 per cento dalle prossime elezioni, così come prevede una legge approvata dall’Ars nel giugno del 2020. Per l’Assemblea regionale, però la Sicilia non prevede nulla: “Il permanere in tale situazione di totale dispregio dell’affermazione di una democrazia paritaria, sostanziale e quindi compiuta, costituisce un evidente vulnus democratico per l’intero Paese e non solo per la Sicilia”, continua la lettera con cui le dem esortano il governo Draghi a intervenire esercitando le prerogative previste dalla Costituzione. “Alla luce di quanto esposto le sottoscritte chiedono a Lei, in qualità di Presidente del Consiglio, ed all’intero Governo di esercitare il potere sostitutivo dello Stato, come previsto dall’art. 120 comma 2 della Costituzione, al fine di uniformare la legge elettorale siciliana al dettato Costituzionale. Al principio di “democrazia paritaria” devono infatti uniformarsi anche le Regioni a Statuto speciale, come ha più volte chiarito la giurisprudenza amministrativa e costituzionale e come ribadiscono le norme dell’Unione Europea e quelle internazionali ratificate dall’Italia”. Per questo, concludono: “Le donne siciliane auspicano un intervento autorevole e risolutivo del Governo da Lei presieduto che ponga fine a questa palese discriminazione, affinché la parità di genere non sia affermazione vuota ma costituisca finalmente un reale contenuto dell’agire politico nel Paese intero”. Una questione irrisolta “da sin troppo tempo”, spiega ancora Cleo Li Calzi, della direzione regionale del Pd siciliano. Che continua: “La Sicilia resta purtroppo una delle ultime Regioni a non avere attuato il principio di democrazia paritaria. Ne risulta un parlamento che esprime un bassissimo numero di donne ed una giunta di governo con un’unica rappresentanza femminile. Il tema della democrazia paritaria non è solo una questione di equità ma è il presupposto per lo sviluppo”.