Catanzaro. Il professionista imputato per concorso esterno in associazione mafiosa e per corruzione in atti giudiziari aggravata dall’agevolazione alla ‘ndrangheta: "Sono assolutamente estraneo. Ricorrerò in appello"
L’avvocato Armando Veneto è stato condannato a 6 anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa e per corruzione in atti giudiziari aggravata dall’agevolazione alla ‘ndrangheta. Denaro in cambio della libertà, sentenze comprate e giudici pagati per far scarcerare boss e gregari della cosca Bellocco di Rosarno. Si è concluso in primo grado, davanti al giudice per l’udienza preliminare Matteo Ferrante, il processo nato da un’inchiesta della Dda di Catanzaro coordinata dal procuratore Nicola Gratteri.
La sentenza, in sostanza, ha accolto le richieste del pm Veronica Calcagno. Oltre al deputato ed ex parlamentare europeo dell’Udeur Armando Veneto, sono stati condannati gli altri quattro imputati che hanno scelto il rito abbreviato: Rosario Marcellino (4 anni di carcere), Domenico Bellocco (6 anni) Giuseppe Consiglio (6 anni) e Vincenzo Albanese (2 anni). Stando alle indagini, coordinate dall’aggiunto Vincenzo Capomolla e dal sostituto Elio Romano, il giudice Giancarlo Giusti (oggi deceduto) avrebbe accettato 120mila euro per far scarcerare tre esponenti della ‘ndrangheta che erano stati arrestati dalla Procura di Reggio Calabria.
Il magistrato era giudice relatore ed estensore del Tribunale del Riesame. In questo ruolo aveva annullato le ordinanze di misura cautelare emesse dal gip su richiesta della Dda reggina nei confronti di Rocco Bellocco, Rocco Gaetano Gallo e Domenico Bellocco. Per ogni scarcerazione il giudice avrebbe intascato 40mila euro. Complessivamente, quindi, per annullare tre ordinanze di arresto il magistrato Giusti sarebbe stato pagato 120mila euro. I fatti risalgono all’agosto 2009 quando gli imputati avrebbero dato danaro o comunque avrebbero svolto il ruolo di intermediari nella dazione di soldi a Giusti.
I tre detenuti all’epoca scarcerati, secondo la Dda di Catanzaro, sarebbero stati i “corruttori” del giudice. Uno degli intermediari, invece, stando all’impianto accusatorio, sarebbe stato l’avvocato Armando Veneto, già sindaco di Palmi. Per i pm, infatti, il noto penalista sarebbe stato il trait d’union tra i mafiosi e il magistrato poi morto suicida nel 2015 dopo essere stato coinvolto in due inchieste antimafia. La corruzione, inoltre, sarebbe avvenuta “per avvantaggiare la cosca Bellocco – è scritto nel capo di imputazione – in un momento di particolare difficoltà generato dall’esecuzione di numerose ordinanze di custodia cautelare in carcere”. Nell’avviso di garanzia notificato nel 2020 c’era scritto che l’avvocato Veneto “in forza del rapporto di amicizia con Giancarlo Giusti” avrebbe fornito “un concreto apporto al rafforzamento, alla conservazione e alla prosecuzione dell’attuazione del programma associativo criminoso della cosca Bellocco, nella sua articolazione territoriale operante a Rosarno, Emilia-Romagna e Lombardia”. Nell’inchiesta sono coinvolti anche Vincenzo e Gregorio Puntoriero per i quali il processo prosegue con rito ordinario.
“Oggi un giudice di Catanzaro mi ha condannato, per corruzione in atti giudiziari ed altro, a 6 anni di reclusione. Sono sdegnato perché si dovrà pescare nell’ampio bacino delle fantasie per motivare una simile sentenza afferma, in una dichiarazione, l’avvocato Armando Veneto – Sono assolutamente estraneo alla vicenda come peraltro aveva accertato la magistratura di Catanzaro sin dal 2014. Per la corruzione sono stati già condannati in primo grado coloro che ne sono stati ritenuti responsabili. Per quanto mi riguarda, sono stato tirato in ballo da una personale interpretazione di un ‘labiale’, come è stato accertato dalla Squadra mobile di Reggio Calabria, che ha corretto l’errore iniziale. Infine, è certo che l’accordo corruttivo era intervenuto prima ancora della mia nomina a difensore. C’era, in sostanza, più del necessario per pretendere che mi si chiedesse scusa per l’inattesa notifica di indagini concluse a mio carico che la magistratura di Catanzaro mi aveva fatto comunicare nel maggio del 2020, senza neppure farla precedere da un’indagine nuova rispetto a quella del 2014 e senza neppure acquisire gli atti del processo che aveva portato alla condanna di quelli che sarebbero stati condannati per la corruzione. Ricorrerò in Appello, ovviamente – dice ancora il penalista – anche perché sono curioso di sapere chi ha ragione tra la magistratura di Catanzaro edizione 2014 e quella odierna. Un chiarimento che riguarda non solo la mia persona, ma anche quella di ciascuno dei sudditi di questo lembo d’Italia”.