La prima considerazione è netta. Qualsiasi fossero, e siano, le motivazioni dall’inizio delle ostilità, vedremo con quanto consenso interno Putin ha trascinato la Russia dalla parte del torto. Un immenso stato-canaglia dotato di armi nucleari, una Corea del Nord all’ennesima potenza. Ora, compiuto un gesto così estremo, in attesa degli sviluppi resta solo l’indagine post mortem. Perché e cosa vuole Putin.
Il perché è un manuale della politica di rivincita, revanscismo, parola francese che illustra la mentalità parigina dal 1870 fino al 1914. Un paese sconfitto che brama il rovesciamento della situazione, il ritorno al prima, alla Alsazia e alla Lorena, anche a costo di una nuova guerra. Dopo la Francia, il modello classico è la Germania, sconfitta sul campo nel ’18 e umiliata a Versailles. Il frutto avvelenato di quella storia lo conosciamo tutti e ha molti punti di contatto con la situazione attuale. Territori perduti, pezzi di popolo dispersi diventano l’obiettivo della frustrazione. Allora Renania, Saar, Sudeti, la Prussia orientale. Oggi l’Ucraina, ma in terribile prospettiva anche gli altri paesi dell’ex Urss e, visto l’attacco ideologico sferrato da Putin al tradimento leninista nel suo discorso alla nazione, gli altri pezzi dell’Impero zarista, la “vera” Russia.
La Bielorussia forse nel ruolo che fu dell’Austria, una unificazione “pacifica”, un Anschluss, il Donbass etnicamente russo appunto come i Sudeti finiti in uno stato, allora la Cecoslovacchia, “spuntato” dal nulla sulle carte geografiche. Ma il paragone, già tragico, si ferma qui. Perché se, fino al 23 febbraio, Putin sembrava puntare a una nuova Monaco, a un accordo in cui gli avversari non vedessero il bluff contando sulla presenza di un Biden senza forze e di una Ue senza sostanza, tutto è cambiato con la spedizione punitiva in Ucraina. Qui siamo molto più vicini al settembre del ’39. A un passo, un errore, un incidente da un conflitto aperto anche con gli alleati, sia pure riluttanti dell’Ucraina. Alleati, a partire dagli Stati Uniti che hanno la loro parte di responsabilità. Non lo dico io, ma Thomas Friedman sul New York Times.
In sostanza abbiamo voltato le spalle alla Russia proprio quando aveva fatto ciò che le chiedevamo da decenni: abbandonare, e senza sparare un colpo, il comunismo. L’abbiamo trattata da nazione vinta, con maggiore durezza di quella riservata ai vinti della seconda guerra mondiale, subito perdonati e arruolati come amici. Io credo che questo, un fattore psicologico che affonda nella sensazione russa di essere sempre stati rifiutati come parte costitutiva dell’Europa, sia l’unica spiegazione di quanto sta accadendo, e del perché i russi per ora sembrino allineati dietro a Putin.
Durerà questo allineamento? Presto per dirlo. Dipende da mille fattori. Ci sarà una rapida vittoria in Ucraina oppure la spedizione si trasformerà in un pantano, come accade inesorabilmente alle grandi potenze che si ingolfano in paesi stranieri? Il potere politico ucraino terrà duro o si liquefarà? La reazione occidentale si limiterà a trasformare Mosca in un paria internazionale o salirà di livello. Come funzioneranno le sanzioni? A questo proposito la storia recente ci dice che né Iran né Iraq sono stati piegati da sanzioni durissime, il cui peso nel caso russo finirebbe per ricadere anche sui paesi sanzionatori e che potrebbe spingere Mosca sempre più vicina a Pechino.
Putin, evidentemente, è convinto di farcela. Di chiudere in poco tempo la piaga del conflitto armato, di reggere la stretta economica, magari di dividere Stati Uniti e Unione europea. Da un punto di vista razionale credo sia un calcolo folle, perché la possibile perdita è di molto superiore al possibile guadagno.
Possibile e probabile sono però espressioni vaghe e lo shock paralizzante che ha frenato ogni reazione occidentale nelle prime 24 ore potrebbe convalidare i calcoli dello Zar. E comunque, mi ripeto, credo che i fattori di psicologia personale e di psicologia collettiva qui giochino più dei fattori razionali. E capire quanto valgono certi sentimenti del leader e del suo popolo è terribilmente difficile. Noi, questa difficoltà l’abbiamo sottovalutata. Il prezzo lo stanno pagando gli ucraini.