Per uno strano gioco del destino il presidente Mario Draghi ha annunciato la fine dello stato di emergenza proprio poche ore prima dell’inizio della guerra in Ucraina, la quale potrebbe – ovviamente si spera che non accada – farci precipitare in incubi ancora peggiori. Del resto, secondo le dichiarazioni di Draghi, il primo giorno di normalità non emergenziale sarebbe il 1° aprile: potrebbe essere un “pesce” davvero ben orchestrato, ma da giurista profondamente attento ai diritti e alle libertà messe a dura prova in questi due lunghi anni auspico che quanto annunciato corrisponda al vero.
E con lo stato d’emergenza si spera che giunga a termine anche la configurazione tutta italiana del green pass, che nel nostro sistema-paese ha cessato di essere – come la normativa europea avrebbe voluto – funzionale alla sola libera circolazione, assumendo invece le caratteristiche di uno strumento di coazione psicologica, utile a indurre forzosamente alla vaccinazione.
La normativa italiana istitutiva del green pass aveva sin da subito destato le preoccupazioni del Garante italiano, dal punto di vista della protezione dei dati personali trattati. E ancor di più con la normativa del “green pass rafforzato” tale strumento è sembrato assumere le fattezze di metodo punitivo per chi non osservasse scrupolosamente i desiderata governativi di lotta al Covid. E a trasgredire, infatti, ci si ritrova puniti con un autentico svuotamento dei propri diritti fondamentali, arrivando così a imporre la vaccinazione senza prevederne ex lege espressamente l’obbligo. In poche parole, nel nostro ordinamento il green pass è diventato strumento che ha aggirato le garanzie previste dall’articolo 32 della Costituzione.
Già il 31 marzo 2021 l’Edpb (European Data Protection Board) e il Gepd (Garante europeo della protezione dei dati), ossia le due massime autorità dell’Unione in materia di protezione dei dati personali, osservavano nel parere congiunto n. 4, § 11 che “si dovrebbe operare una distinzione chiara tra i termini ‘certificato di vaccinazione’, che indica l’attestato rilasciato a una persona che ha ricevuto un vaccino anti Covid-19, e ‘certificato di immunità’”. E su questi aspetti la normativa italiana è rimasta ambigua. Come ambigui sono rimasti i presupposti, quindi le finalità specifiche, che avrebbero dovuto, secondo la normativa europea, legittimare tali trattamenti previsti sul territorio nazionale attraverso lo strumento del green pass.
Insomma, approfittando dello stato di emergenza sembrano essere saltate ancora una volta molte garanzie previste dalla normativa italiana ed europea. Uno stato di emergenza che si è dilatato veramente troppo nel tempo, comprimendo libertà e diritti che solo in via del tutto eccezionale e per brevissimo tempo possono essere sottoposti a pesanti limitazioni.
Sulla base di queste preoccupazioni, il 14 febbraio 25 giuristi hanno deciso di redigere e sottoscrivere una segnalazione-esposto chiedendo l’intervento del Garante per la protezione dei dati personali a tutela di diritti e libertà personali che rischiano di essere calpestati da una normativa da considerarsi illegittima e che andrebbe quindi disapplicata. Le ragioni dei giuristi sono state condivise da moltissimi altri avvocati che hanno deciso di appoggiare l’iniziativa, inoltrando a loro volta l’esposto. Tali considerazioni sembrano aver trovato ulteriore conforto in una corposa sentenza del Tribunale di Pisa che, assolvendo gli imputati dall’accusa dell’articolo 650 del codice penale loro contestata per aver violato l’ordine imposto con Dpcm dell’8 marzo 2020, ne ha decretato l’illegittimità, mettendo in discussione lo stesso concetto di stato di emergenza. E le ragioni del green pass sembrano sgretolarsi e apparire risibili anche nel mondo accademico.
Insomma, il green pass da strumento (europeo) utilizzabile per favorire la libera circolazione negli e tra gli Stati membri, sembrerebbe sempre di più essere stato imposto nel nostro paese come una presunta misura di garanzia che si baserebbe nei suoi presupposti sulla difesa della salute pubblica, ma – così come è strutturato – ha finito per violare palesemente l’art. 32 della Costituzione (oltre che i principi basilari del Gdpr), operando peraltro goffamente un bilanciamento tra diritti fondamentali previsti dalla Costituzione (e non si può non considerare che la limitazione di un diritto fondamentale quale il diritto al lavoro è incredibile per uno Stato come il nostro fondato su di esso…).
Attenzione, non è in contestazione lo strumento vaccinale, ma il metodo utilizzato dal nostro Governo per imporlo. Inizieremo, forse, in futuro, sull’onda di altre emergenze, magari di natura economica, a legittimare strumenti simili al green pass di compressione di diritti fondamentali per chi non ha pagato regolarmente le bollette? O per chi non ha pagato regolarmente le tasse e non le ha rateizzate? O – perché no? – per chi non ha un solido conto in banca?
Purtroppo, pur se questi paragoni oggi sembrano esagerati e quindi dei semplici paradossi, non si può non riflettere sul fatto che chiudere gli occhi oggi su una voragine nelle garanzie normative di tutela di nostri diritti e libertà fondamentali potrebbe finire per aprire la strada a scenari di soluzionismo semplicistico ancora più inquietanti.
Queste scorciatoie poste in essere sull’onda di emergenza e di stati emozionali distorti vanno bloccate sul nascere. Per tali motivi ho deciso di sottoscrivere l’esposto e spero che il Garante autorevolmente intervenga. E questo anche se dovesse davvero (e finalmente) cessare lo stato di emergenza, come dichiarato da Draghi. La democrazia va difesa a denti stretti.