I media celebrano l’eroismo del popolo ucraino. Già molti sono morti con onore, immolandosi in difesa della propria dignità. Ma questo eroismo, questa reazione di fronte a quella che è un’evidente, inaccettabile, aggressione, non può farci eludere la domanda fondamentale oggi: quando uccidere per difendere la patria è giusto? Io credo che sia giusto solo quando combattere può diminuire il numero dei morti rispetto al non combattere. E l’Ucraina non è in questa condizione. L’ordine dato ai civili di armarsi e scendere in strada a sparare, portare la battaglia casa per casa, comporta la possibilità evidente di andare al massacro. E saranno i bambini a morire di più.

La resistenza danese all’invasione nazista ha dimostrato che esiste un altro modo di opporsi, che non prevede i proiettili e mira a minimizzare la perdita di vite umane. Re Cristiano X non era un pacifista, ma aveva chiaro in testa che la piccola Danimarca non poteva resistere alle schiere naziste. La sua scelta fu attenta e ragionata. L’idea che aveva in testa non prevedeva la resa senza spargimento di sangue, aveva bisogno di un gesto di violenza formale contro il nemico. Combatterono per poche ore, pagando con la vita di 16 giovani danesi questo gesto. Poi il re si arrese. Ma prima di firmare la resa Cristiano X fece affondare dai suoi marinai tutte le navi militari danesi. E arrendersi non volle dire smettere di resistere. Lo fecero in mille modi.

E i nazisti capirono che gli conveniva evitare di provocare i danesi. Incredibilmente nella Danimarca occupata si svolsero addirittura libere elezioni alle quali il partito nazista danese ottenne uno sconsolante 2,1% dei voti. E già questo dice molto della situazione. Il re, a rischio della propria vita, impose personalmente che la bandiera nazista fosse tolta dal palazzo del parlamento. Ogni domenica compiva un gesto, un rituale che tutti i danesi ben comprendevano.

Cristiano X era un uomo imponente che superava i 2 metri e aveva un cavallo gigantesco. Ogni domenica usciva dal palazzo reale e attraversava il centro di Copenaghen, da solo. E tutte le domeniche migliaia e migliaia di danesi gli facevano ala lungo tutto il percorso. Una manifestazione muta. Si narra che un ufficiale nazista vedendo che il re era senza scorta chiese a un danese: “Ma è pazzo il vostro re! Gira senza scorta!” E il danese rispose: “Siamo tutti noi la sua scorta!”

Quando fu chiaro che i nazisti volevano catturare gli ebrei si scatenò un’operazione segreta che coinvolse migliaia di danesi: in una sola notte più di 8mila persone furono nascoste e successivamente imbarcate su una flotta di pescherecci e portate in salvo in Svezia. I nazisti riuscirono a catturare 481 ebrei, in gran parte stranieri e quindi non noti ai danesi. Ma a questo punto i danesi fecero qualche cosa di impensabile, mobilitando tutte le loro capacità diplomatiche e sfruttando l’aiuto della Croce Rossa riuscirono a continuare a proteggere gli internati nei campi di concentramento. Ottenendo addirittura il diritto di rifornirli di cibo e medicine e di operare visite di controllo. Poi mentre l’Armata Rossa avanzava e l’esercito nazista era in rotta, riuscirono a ottenere dai nazisti i permessi per entrare in territorio tedesco con 50 camion, andare a prendere i prigionieri e riportarli in salvo in Danimarca. Questa fu un’epopea che meriterebbe un film. Che non è mai stato fatto… Chissà perché… Dei 481 ebrei catturati, 423 tornarono a casa vivi. (Per saperne di più sulla resistenza danese: leggi qui).

Ma esiste un altro esempio di resistenza armata “pacifista”. La Rivoluzione Zapatista. Dopo decenni, anzi secoli, di oppressione, gli Indios del Chiapas, di etnia maya, decidono di ribellarsi. Prendono la decisione dopo una lunga discussione e una votazione che raggiunge l’unanimità. Poi per un anno si preparano. Cuciono 20mila divise blu, perché il loro esercito deve avere “dignità” come gli altri eserciti. Non hanno armi ma fabbricano 20mila fucili di legno molto realistici. Quando un esercito armato di fucili di legno può attaccare e sconfiggere un esercito con armi vere? C’è un solo giorno quando questo è possibile. Il primo gennaio, all’alba, quando tutti i soldati sono ubriachi e sono crollati nel sonno più profondo. E questo è possibile perché gli Zapatisti non avevano mai compiuto nessun gesto violento prima di allora. Il Chiapas era una regione pacifica e tranquilla…

Il 1° gennaio 1993, poco dopo mezzanotte 20mila uomini e donne, sono pronti a sferrare l’attacco contro le principali città della regione. Ma succede qualche cosa di impensabile. Manca il contingente di un villaggio. Si sono persi. Non si riesce a sapere dove sono finiti! Che fare? La decisione è incredibile: non possiamo scatenare la rivoluzione se manca qualcuno! Che diranno poi ai loro figli? “Non ho partecipato all’insurrezione perché sono arrivato in ritardo!” Sarebbero disonorati! NON SI PUÒ! Si decide così di ritardare di un anno la rivoluzione. E per un anno non viene lanciata neanche una pietra, nessuno reagisce alle violenze dei militari. Poi, il 1° gennaio 1994, prima dell’alba, ci sono tutti, tutti ai loro posti, attaccano, si impossessano delle armi dei militari e della polizia, li fanno prigionieri. Bilancio della battaglia 7 nemici uccisi e qualche ferito. Catturano anche l’ex governatore, il generale Abasolón Castellanos Domínguez, lo processano e lo condannano.

Il giorno dopo dichiarano la tregua unilaterale, liberano il generale e tutti i prigionieri, illesi, e si ritirano sulle montagne con tutte le armi. Ora hanno un esercito, il mondo ha visto che hanno le divise e le armi. Da allora non hanno più sparato un colpo e continuano la resistenza pacifica. Non reagiscono neanche di fronte ad aggressioni terribili. Dopo il massacro di 28 tra donne e bambini, hanno catturato alcuni dei killer paramilitari. I padri e i mariti delle vittime li hanno consegnati alla polizia messicana dicendo: “Questi sono i colpevoli, sappiamo che li avete mandati voi, sappiamo che li libererete, ma noi ve li consegniamo perché questa è la cosa giusta”.

Queste storie sono state raccolte da testimoni diretti a Finaz ed Erriquez della Bandabardò, durante il loro lungo soggiorno tra i pacifici guerrieri maya. Ricordo ancora il sorriso di Erriquez e mi manca tanto. C’è un’altra storia, molto antica di “un altro modo di fare la guerra”, è la storia della repubblica cinese taoista. Ma lo spazio qui è finito, vedi il video il link è qui: Sulla resistenza della repubblica taoista

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