Più le truppe russe avanzano e più la resistenza ucraina aumenta. Kiev ormai è una trincea a cielo aperto. Si scava anche con le mani per costruirsi rifugi e postazioni da cui contrastare il nemico. E soprattutto ci si organizza quartiere per quartiere, strada per strada. La guerra crea morte e distruzione ma anche resistenza, solidarietà e dignità, quella di un popolo che vuole mantenere la propria indipendenza. E che si prepara per contrastare il nemico.
Darnytsia è un quartiere che sta dall’altra parte della Capitale, lontano dagli uffici, dai palazzi governativi e dalle vie dello shopping. Proprio in questa zona ieri sera sono piovuti missili che hanno fatto morti e feriti, ma la gente non si chiude in casa e reagisce. Fiera. Mikhail ci accoglie con i suoi compagni di lotta. “Siamo fratelli, siamo uniti in un legame di sangue. Questa guerra è una vergogna ma ha fatto emergere lo spirito ucraino, il nostro amore per questa terra, per la nostra patria. Non saremo mai succubi dei russi, decideremo noi il nostro destino”. Il futuro, qui, è in mano loro e non solo delle bombe di Putin. “Ci troviamo ogni sera e fino a notte fonda costruiamo molotov. Stoffa, benzina, acetone. Qui nel quartiere vivono duemila persone e tutti quelli che sono rimasti collaborano. Abbiamo realizzato in pochi giorni oltre 500 ordigni. Una parte li abbiamo già portati al nostro esercito, gli altri sono qui per noi. Li useremo se i russi oseranno passare sotto le nostre case”.
Le molotov in costruzione sono sotto i nostri occhi, le altre sono già sui tetti degli edifici, pronte per l’uso. Chiediamo di andarci ma sono postazioni ed obiettivi sensibili e ci viene risposto di no. Ma sono su, nei piani alti, pronte per l’uso, e i comitati dei quartieri hanno già i loro compiti, gli ordini, le istruzioni. Arrivano donne, portano bottiglie e quanto serve per costruire gli ordigni. C’è un uomo deputato a sorvegliare la zona tutta la notte per evitare infiltrati. Mikhail (Misha) spiega che “la gente qui arriva a frotte per darci una mano. Non dobbiamo bussare le porte, non dobbiamo convincere nessuno. A questa guerra partigiana contro l’invasore vogliono partecipare tutti quelli che vivono qui. Non vogliamo Putin, vogliamo vivere in pace e combatteremo fino all’ultimo per la nostra libertà”.
L’atmosfera si fa tesa. Suona l’allarme. Un altro pesante bombardamento, nella zona di Brovary, causa altri morti. Non lontano Darnytsia ci sono attacchi. Fa buio, si avvicina l’ora del coprifuoco ma siamo ancora con loro, in strada, con la brigata di quartiere. Decidono di spostare le armi artigianali perché troppo in vista. “La situazione peggiora, meglio scegliere un luogo più appartato. Poco fa è toccato ai nostri fratelli di Kharkiv: sono stati attaccati in modo vigliacco, hanno puntato i missili contro le abitazioni civili. Ci sono state decine di morti e potrebbe capitare presto anche qui”. Ad un possibile negoziato non ci credono e per questo continuano ad armarsi, “perché il nemico potrebbe arrivare da un momento all’altro”.
Li seguiamo passo passo e poi decidiamo di rientrare in hotel, dall’altra parte del fiume, nella zona di Maidan. E’ tardi e il coprifuoco scatterà a breve. Ma i ponti sul Dnepr sono nuovamente chiusi per le esplosioni. Non ci resta che ritornare a Darnitsya, dai bombaroli. Che ci offrono ospitalità per la notte. La guerra partigiana è solidarietà, prima di tutto. E riconoscenza per l’appoggio che tutto il mondo sta offrendo all’Ucraina.