In fila, ordinati. Nonostante le temperature nuovamente rigide e la neve che ha imbiancato la città. Ma in questa guerra meschina che colpisce i civili e uccide donne e bambini non è certo il ritorno dell’inverno a fermare la dignità di un popolo colpito ma non ancora affondato. A Kiev, per tutto il giorno, lunghissime code si sono formate non solo per comprare il pane, le medicine e tentare inutilmente di prelevare soldi dai bancomat, ma anche per donare il sangue. Ogni conflitto causa morti e feriti e per coloro che rimangono vittime delle bombe bisogna attrezzarsi. E gli ucraini, anche in questo, si stanno dimostrando generosi e compatti.

“In poche ore abbiamo effettuato un centinaio di prelievi e se il ritmo sarà questo per tutto il giorno arriveremo almeno a trecento donazioni”, spiega Victoria, dottoressa nella clinica ematologica non distante dalla stazione dei treni di Darnytsia. “Anche ieri abbiamo avuto un gran numero di richieste e noi siamo solo uno dei quindici centri nella Capitale impegnati in questo servizio. La città sta rispondendo in modo esemplare evidenziando grande sensibilità verso chi soffre”. “Il mio sangue deve servire a sostenere i nostri soldati che ci difendono – spiega Artyom durante il prelievo – e per questo non ci ho pensato un momento. C’è chi è impegnato al fronte e chi ha famiglia e figli piccoli e non se la sente di combattere ma ognuno ha il dovere di aiutare l’Ucraina”.

“Il nostro esercito si sta comportando eroicamente – racconta Roman – e noi cittadini dobbiamo aiutarlo anche in questo modo. È una battaglia di civiltà fra un regime dispotico e un Paese che vuole essere autonomo e daremo tutto per difenderci e mantenere la nostra sovranità”. Vladimir fa l’avvocato. Inizialmente non prende bene la nostra presenza in ospedale: si agita, ci chiede i documenti, va a chiamare la direzione. È la tensione del momento: “Ci sono infiltrati e sabotatori in tutta Kiev – si scusa più tardi – e non dobbiamo fidarci di nessuno. Non mi interessa se il mio sangue servirà per i soldati o per i civili; è importante che ne faccia uso chi ne ha bisogno, anche i bambini che sono vittime innocenti di questa stupida guerra”. Ringrazia l’Europa per l’aiuto ricevuto ma sa bene che “ogni Stato ha i suoi problemi interni e se vorranno sostenerci di più ne saremo grati, altrimenti resisteremo da soli. Il mondo però deve capire che questo non è un conflitto che riguarda solo l’Ucraina ma è un lento processo di imperialismo che Mosca ha iniziato già nel 2014, inglobando Donetsk e Luhansk, e che proseguirà poi verso le repubbliche baltiche e l’Europa sudorientale. Nessuno di noi avrebbe mai pensato di poter vivere nella propria vita una situazione come questa ma la sensazione è che sia solo l’inizio di un’escalation che potrebbe portare alla terza guerra mondiale”.


Vorrebbero parlare in tanti, all’ospedale, mentre aspettano di donare il sangue: la gente, qui a Kiev, ha bisogno di sfogarsi, di esternare, di scaricare la propria rabbia. E mentre la fila si ingrossa Jaroslav, l’infermiere responsabile della struttura, rivolge un appello anche all’Italia: “Abbiamo bisogno di medicinali. Per ora resistiamo con quello che abbiamo ma a breve potrebbe esserci necessità di garze, cerotti, bende, disinfettanti e lacci emostatici”. “Anche frigoriferi per conservare il plasma – spiega Victoria, la dottoressa – perché quelli in dotazione potrebbero non bastare se il numero di feriti dovesse aumentare”. E viste le premesse di questi primi giorni di guerra e l’avanzata da Nord di centinaia di tank russi verso Kiev, l’assistenza sanitaria della Capitale rischia seriamente di collassare.

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