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La resistenza ucraina smaschera le bugie dell’infowar

Mentre a Kiev proseguono sanguinosi combattimenti tra i patrioti ucraini e l’esercito invasore di Vladimir Putin, è in atto una parallela battaglia nella dimensione della virtualità informatica. Le cosiddette “infowar” che coinvolgono le due maggiori scuole planetarie di colonizzazione della psiche: quella anglo-americana e quella russa, spesso associate per non dire complici in giochi sporchi (vedi le operazioni di propaganda subliminale per la Brexit e nella vittoriosa campagna elettorale di Donald Trump). Del resto già dal 2014 – spiega l’ex Cambridge Analytica, Christopher Wylie, nel suo saggio Il mercato del consenso (Longanesi 2020) – ricercatori del dipartimento di Psicologia dell’Università di Cambridge collaboravano stabilmente con i colleghi dell’Università Statale di San Pietroburgo a un progetto di profiling psicologico finanziato dal governo moscovita tramite assegni pubblici di ricerca.

L’idea base di queste operazioni spregevoli, anche nel loro svolgersi sottotraccia, è quanto ebbe a scrivere in un articolo del 2013 l’attuale Capo dello Stato Maggiore delle forze armate russe, generale Valerij Gerasimov: “si fa la guerra cambiando la testa e la lingua dei ceti sociali più deboli dell’avversario”. Tanto per intenderci, il popolo. Ossia il destinatario delle fake news sciorinate dallo zar del Cremlino, lo stesso che fino a un giorno prima dell’invasione negava che tale opzione fosse in programma. Difatti la linea argomentativa è stata quella che l’operazione militare russa dipendeva da ragioni vuoi difensive, vuoi terapeutiche. In questo secondo caso, denazificare il parlamento ucraino che attualmente vede uno e un solo deputato eletto nella lista “Svoboda”, il partito neonazista di Kiev. Cui faceva seguito l’invito a disertare rivolto all’esercito avversario, così efficace da spingere immediatamente i militari ucraini a difendere in assetto di guerra il proprio governo democraticamente eletto, cui si affiancava buona parte della popolazione civile armi in pugno. A sostegno del loro presidente Volodymyr Zelens’kyj, descritto da Mosca ora come un drogato, ora un ubriacone.

Come mai la strategia propagandistica subliminale putiniana non sta raggiungendo i risultati attesi? Indubbiamente gioca a favore di Zelens’kyj l’attitudine a muoversi nella dimensione mediatica, acquisita nella sua precedente vita di uomo dello spettacolo; dalla scelta dei set per i video ai toni dei suoi messaggi, adeguatamente severi nei confronti dell’imbelle Europa (fino al punto di spedire a quel paese il nostro gigionesco premier Draghi). Ma – ad oggi – quanto si direbbe decisivo è analizzare quale sia il contesto su cui i messaggi manipolatori planano.

Come ci fece presente nel suo documentario del 2002 Bowling a Columbine il documentarista Michael Moore, e ora ci ripete la gola profonda di Cambridge Analytica Christopher Wylie, mettendo a confronto i climi sociali tra due mondi separati soltanto dal lago Michigan – Stati Uniti e Canada – in materia di proliferazione incontrollata delle armi o di sanità pubblica: la presa d’atto di sensibilità politiche e culturali agli antipodi. Per cui è negli States di una società sovreccitata (i colletti blu minacciati dalla globalizzazione multietnica o la piccola gente aggrappata a una declinante identità patriarcale bianca) che possono attecchire operazioni alla Steve Bannon, il promoter elettorale di Donald Trump, di stroncare l’odiata democrazia grazie a una semplice app; come Uber lo ha fatto con i tassisti. Così come nel Regno Unito, dove i Farage e i Boris Johnson intercettano solo i consensi di irrimediabili sognatori di passate grandezze imperiali. Un’intossicazione a mezzo illusioni di cui ad oggi difetta l’antidoto.

Mentre a Oriente e a Sud del mondo, “per la generazione attuale, il dio che ha fallito è la liberal-democrazia”, come scrivono i politologi liberali Ivan Krastev e Stephen Holmes, una questione di credibilità a sfavore di chi propugna i diritti umani e poi allestisce Guantanamo o Abu Graib.

Questo non avviene se funziona ancora uno stretto legame di fiducia tra la cittadinanza e i suoi rappresentanti elettivi. E la realtà fa da immediato contrappeso alle menzogne. Come sta succedendo in Ucraina. Mentre le tattiche di sopravvivenza di un impero morente (Usa) e di uno morto e sepolto (Urss) si direbbe funzionino per target sociali altrettanto in declino, bisognosi solo di un bersaglio da odiare.

Invece di dare credito immeritato alle tecnologie di asservimento della psiche dei vari pifferai magici, quale via maestra alla conquista del consenso secondo gli oligarchi al potere in Europa, America e Russia, occorrerebbe ricostituire nei fatti il binomio politica-verità. Per una democrazia presa sul serio. Prima dell’avvento del caos.